"Fresco di stampa": Danila Di Croce, "Ciò che vedo è la luce", peQuod, 2023


È che si impara a perdere
quando osservi la vita di profilo,
più smilza e distante, forse,
ma con l’occhio rapito dalla frangia
esatta delle nuvole.

Davvero si apprende a cedere ore
e pretese, a rintanarsi in pochi
angoli di prato, per non scordare.
E accade che persino il lungo fiume
degli addii s’incanali infine
con più capace abbandono.

Sì, è altura spoglia da conquistare
questo verso mandato a memoria
e s’impara anche solo guardando
chi dorme sul cartone, lungo i portici,
così, con un sogno addomesticato.

*

La sincerità non è sulle labbra,
non si mescola alle parole
della strada e della folla,
non sa d’esistere.
Si scopre abbassando il ginocchio
e il capo.

È sapere di essere guardati
da te
la sincerità.

*

Di quale fedeltà si è mai
capaci, di quale adesione,
se anche il sale può perdere
sapore e farsi sabbia di fondale,
buona solo a mimetizzare vita.

Forse l’urlo di dolore
esposto lì, sulla strada,
magari tra i rifiuti, che chiede
d’essere adottato,
che attende la sua educazione,

solo quel figlio di altre storie
può iniziare alla più salda,
alla più pura delle fedi.

*

Sta mettendo rami questa
voglia di parole concrete
come vasi di terracotta
serrati dal calore,
fondo di pietanze contadine
a sfamare il mezzogiorno
del sudore quotidiano.

Chissà che non protegga,
l’albero,
dal turbinio del sole.

*

Non so se il dolore abbia orecchie.
Non saprei comunque parlargli.
Altra è la postura, altri i segni
da indovinare. E come si fa
a sbassare quell’altezza,
a farlo accovacciare e guardarlo
bambino, occhi negli occhi,
ignaro e incosciente dopo tutto.

L’idioma della compassione, spoglio
di pretese, non sa captare
il suo segreto: solo lo declina
in uno spasmo della gola,
fidando che quel fiato poi lambisca
il solido cemento del suo muro,

a intonacarne almeno la facciata.

*

Si disarticola la paura,
non è più nome da qualificare
quando presti l’incavo dei palmi
all’aria muta della sera
e a leggerti il destino è il volto
calmo della luna, sentinella di luce.

Rovina in basso
la paura, si prosciuga,
se avverti poi sul capo
il tocco lieve delle sue mani
unite, in segno di benedizione.

*

Si smania anche da fermi,
così, come ruote rombanti in aria
a reclamare una strada.

Più sicura è la pena di un cammino
fiacco – le spalle ristrette dal peso
della lontananza.

*

Dove mai mi sono persa,
se anche il mare odora di casa

o forse è l’abbaglio della bonaccia
a ingannare i sensi,
a far cedere vele e sogni,
a fare buono il tempo della sosta.

La malia del canto, però, non basta
ancora – senza almeno
un refolo di vento –
per tornare.

*

Danila Di Croce vive ad Atessa (CH) ed è docente di Lettere nel Liceo Scientifico della sua città. Suoi testi figurano nel Settimo repertorio di poesia italiana contemporanea (AA. VV., Arcipelago itaca, 2023). Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Punto coronato (ed. Carabba), nel 2011. Con la silloge inedita Ciò che vedo è la luce è risultata vincitrice al Premio InediTO – Colline di Torino 2022.





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