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Visualizzazione dei post da dicembre, 2022

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Sheila Moscatelli

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Quando ci rivedremo non saprò come toccarti calpesteremo ombre crepitanti di foglie accese illumineremo sotterranei di ossa e radici cuciremo ali trasparenti di fiducia Con parole in grappoli riempiremo bicchieri di silenzio senza romperlo * Sheila Moscatelli ci conduce per mano in un suo universo tutto privato, intimo, con versi che parlano al futuro, che annunciano un ritorno: di un caro? dell’amato? La risposta spetta all’immaginazione del lettore che proiettato in questo mondo ne diventa partecipe - non solo spettatore, ma parte in causa. Tutto si articola nella libertà delle parole che si dispongono obbedendo solo a sé stesse, senza punteggiatura, cadenzate solo dagli spazi bianchi, dal loro fragile equilibrio con il silenzio. Le metafore e i simboli conferiscono un’atmosfera sospesa, magica, al quadro d’insieme, che resta soffuso fra giochi d’ombre, trasparenze, luce che si fa strada fra “sotterranei / di ossa e radici”, tutto funzionale al disvelamento finale: l’antitesi fra “pa

Dario Melissano, “Un altro inverno”, Eretica Edizioni, 2022. Segnalazione di Claudia Di Palma

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Ascolto, e le parole si piegano come panni sui fili. Gli occhi rincorrono segni, lingue parlate in silenzio. Gli anni si chinano ai ricordi, voci che solo il cuore conosce, e gesti che le mani non sanno rifare, come volare, o sparare, e restare innocenti. * Vorrei avere più tempo per essere felice, vedere meno pioggia, camminare per strade bagnate dal sole. Vorrei che il tuo sorriso, per un istante, fosse qualcosa che mi appartiene, come le chiavi di casa, o un accendino. Vorrei sapere se nei tuoi sogni a volte ci finisco anch'io, e non aspettare mesi per un sospiro, ma respirare ogni giorno la tua presenza, come risposta, attesa, stupore. Vorrei tanto che il nostro incontro fosse una cosa  semplice, come l'amore. * Le mie mani, piccole, congiunte, grandi. L'Universo non trova spazio in una giumella vuota, si espande appena chiudo i palmi, intreccio le dita. Un vecchio flauto sparge nuove melodie. Si corre al confine, oltre gli scuri del possibile. * La stagione anima l'

Fabrizio Cavallaro, "Alta stagione", RPlibri, 2020

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L'ultima frontiera è la notte, che mastica piano i suoi sonni e li riporta a letto, magari contusi malandati quel poco da rimetterli in piedi al mattino dopo, tra rimorsi e ottusi malumori, purché evitino trappole coperte di foglie, scavate apposta per farci cascare il daino braccato. * Il gigante di buone maniere che assomiglia a John Cena ha occhi fessurati di verde marino, quando sorride si schiude come una melagrana, mette in evidenza i denti alla Bugs Bunny, e un po' morbido di fianchi, sul petto ha tatuato il motto domani mai più poveri . * Farsi una cosa sola in parole, e passi lunghi o corti, per vie diritte o storte, le storie brevi del mondo a volte si estenuano s'allungano dentro i nostri occhi lanciati come fresbees nell'aria gioco da ragazzi, vivere poi è l'unica risposta muta e saggia. * Quanta parte di te hai lasciato sul cuscino, fronde del tuo giovane fusto: la buona creanza che mi sudavi addosso. * Eccoci, nel deserto gobbuto che ci rassomiglia e

"Anteprima Portosepolto": Biagio Accardo, "Luce del più vasto giorno", peQuod, 2022

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Ricchi di tante morti, continuiamo a vivere nell’indigenza: moriamo sempre così poco, e troppo tardi decidiamo di cadere come il grano nella mano che lo taglia. * E il comporre, la sintassi che chiedi, la logica intrinseca all’accadere, cercala nella stratificazione dell’humus che non tradisce l’ordine né l’origine, domandala alla carne quando esulta alla parola amore, all’istante che ti apre interamente alla verità. Puoi cambiare l’ordine dell’apparire ma nel solco, dentro l’alveo è il fiume che scrive, la sua corrente. * Dovrà pur bastare questa poca luce che lambisce i cocci di legno dietro al forno e asciuga come può e dove può un’acqua che pare cadere da un secolo. Dovrà pur bastare questo vento che scompiglia le palme, calcina i fossi e scolpisce le crete dei campi. Dovremo farcelo bastare questo poco così poco che ci resta, questo sole così lontano dalle ossa, ora. * Portare il mondo, portarlo dentro, ma non solo per il suo peso, il suo calibro di tempo, di tutti i tempi che rip

"Fresco di stampa": Giovanni Ibello, "Dialoghi con Amin", Crocetti Editore, 2022

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io non torno più Ricavo dai roghi autunnali un altare di gemme, è il menhir dell'esiliata luna. Io sono Giovanni e non ho mai chiesto di essere amato. L'amore stringe nel seno la sorte del tuono: frantumare il vetro dell'esistenza. Così noi, ebbri di giovinezza corriamo a perdifiato nell'oltrenero, succhiamo avidamente il fuoco rimasto nelle pietre e brindiamo / all'ombra che fu delle pinete. Ogni cosa rivela quel nulla che siamo già stati. Tutto simula la quiete. Poco distante, un uomo prende a pugni la rena. Dice: “Credimi, noi non stiamo per rinascere. Nessun verso sconta la primavera”. * parla Amin Io sono Amin, colui che restò nel noncanto. La pietraluna che stringe intime alleanze con il temporale. Sono la vita sognata, la spada rivolta alle piogge. Baratri e gemme, rovesci, sterpi, acqua di sperma creatore. Io sono Amin e non ho mai conosciuto l'amore. Rivelo la sintassi del crollo: un urlo angelicato, non si muore. Vita sempre sognata, mai vita. * Morte

Irene Sabetta, "Nella cenere dei giochi", La Vita Felice, 2022. Segnalazione di Claudia Di Palma

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La lingua di mia madre Sepolta sotto un mucchio di sassi, la lingua sotterranea come pietra filosofale genera modi e pensieri appuntiti. Pastorale anarchica in cui pecore in cravatta siedono agli sportelli dell’ufficio postale. La pioggia annaffia la cicoria del prato dove tu una volta mi dicesti resta. I giganti della collina trasmettono che la vita è una farsa pericolosa. State attenti. Nel punto in cui i due fiumi confluiscono con tutti i pianti del mondo il lago si fa fitto più della collina. Acqua melmosa nutre tinche limacciose buone per le sagre d’estate. Le cadenze della tua voce mi parlano sempre nell’aria umida del lago fuori posto. Casa discreta e disadorna dalla nascita alla fine. Di parole disadorne che non sbagliano la mira. Estensione dei territori, confino ristretto e intimo, liquido prenatale più che verbo. * Twist Gli orfani non sanno ascoltare, restare a casa per cena o servire il re di Spagna e tornare in tempo per il funerale. Imparano senza studiare. Si siedono a

"Fresco di stampa": Veronica Antonietta Mestice, "Il terzo tempo", Edizioni Ensemble, 2022

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Solo i secoli sfiorano i sassi, l’estate feroce e tardiva che copre i canneti, le tacite pieghe dei paesi che attendono la vita. Ci sono tanti mattini d’estate che parlano il silenzio. * Dopo tutto, possiamo accettare il disordine tra le cose possibili e i nostri precipizi. Tutto può cambiare in un una notte che squaderna. Il mattino non è stanco di domare le aurore. Il dolore è un’occasione, l’abisso che può sprigionare la luce. Alle volte, basterebbe ascoltare, attutire i colpi, liberare l’ossessione di salvezza, dimenticare caos e tempo. Tanto, il cielo è lo stesso. * La vertigine può essere tollerata se ciascuno di noi è nel frattempo la vita. Nel frattempo, sì solo nel frattempo. Un attimo finito è la nostra giovinezza spavalda, felicità smagliante, una festa continua – sulle macerie di tutto. * E se poi volessimo salvare l’istante? Rendere eterni gli inaccaduti minuti. Fermare la musica dell’esistenza e percepire il frattempo. Con chi, semmai, condividere la fine ironica? Udire i

Antonio Semproni, "Mercati & Mercati", Transeuropa Edizioni, 2022

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Braccianti Se si accasciano sui pomodori la scena non è attrezzata per il sangue nemmeno finto vanno raccolti all’istante trascinati nei casolari senza risciacquo nella pubblicità non compare la faccia nella passata non va la pelle * Morti bianche Se i bulloni fossero stati immacolati come i bottoni sullo sparato sigillati come il feretro forse sarebbero venuti ad applaudire ma avrebbero trovato i loro eroi troppo indaffarati preferiscono statue silenziose, la solennità di un museo * Mercati e mercati Ci sono mercati di frutta, verdura e formaggi e mercati di blue chips, bond e bitcoin mercati dove l’uomo mangia pane e mercati dove l’uomo ha sempre fame Siano compatiti questi affamati che si ostinano a non volerne sapere di gorgonzola radicchio noci e pere nemmeno un gheriglio parlano solo di comprare la piazza del mercato per metterla in una immobiliare che starà sotto una holding che verrà quotata in borsa a Milano, Parigi e New York allontanandosi sempre più dall’oggetto del mangiar