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Visualizzazione dei post da aprile, 2023

Elena Micheletti, tre poesie inedite

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Testi tratti dalla raccolta inedita "Una morte prima" * A voi che cercate i morti nel cielo e nei controsoffitti, così bravi a fare finta. A voi dico dov’è Mario adesso che ha gli occhi tutti gialli e la bocca più chiusa di un forno. Adesso che non sta più nelle file e che qualcuno, passando, ha staccato per gioco il suo nome dal muro. * Chissà se te ne andrai come sei venuto al mondo. Tra le grida sul fuoco e qualche giro di parola. O se chiuderai solo la bocca ad imitare i pesci. Così ti tengo in vita come posso, in piedi, da sdraiata, nel credo di dita incrociate a sostituire dio. Ma con te non basta, papà: A novembre, mentre la terra tremava, tu pisciavi sangue. * Ti dico che voglio somigliare agli uccelli. Perché sanno sempre dove andare a parare. Invece mi tengo stretta alla terra come fanno i vermi. Qui, la paura, ha gli occhi della lince e la voce di mia madre (quando mi indovina la disgrazia, la macchia nei polmoni, lo schianto perfetto). Vedi, a casa mia non si muor

Francesco Cagnetta, Premio Speciale della Giuria, Premio Poeti Oggi 2023

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Per quanto mi sforzi ad immaginare il vuoto che avrà la mia faccia sul punto di morte per quanto mi sforzi a ricordare le sembianze di quando ero poco più che polvere mai saprò quali ossa dureranno più delle altre da quale parte il corpo inizierà a darsi alla terra. Con questa certezza, rinuncio anche alle parole al chiarore delle pagine pur di trovarvi nella casa sicura e venire a suonare il campanello con la solita faccia da scemo con la stessa paura con cui ho lasciato la mano per fare il primo passo: in quel preciso istante ho iniziato a morire. * Francesco Cagnetta , nato nel 1982, vive a Molfetta (BA). È avvocato. Ha frequentato la Scuola Pound curata da Michelangelo Zizzi. Ha pubblicato Pianeti di carne (Transeuropa, 2020) e Il mare beve me stesso (Arcipelago itaca Edizioni, 2021) . La poesia contemporanea in lingua italiana

"Anteprima Portosepolto": Emiliano Cribari, "Cronache dalle rovine", peQuod, 2023

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aria di sgelo fumo mesto dal fiume il sole sbreccia la montagna e fa suo tutto l’itinerario del cielo: è una promessa mantenuta fino a sera cammino inciampando tra ghiande reiette piccolo minuscolo quasi inesistente se anche mi ammalo cosa cambia di così rilevante? salirò ancora per ore rifuggito da ogni bestia selvatica perché nei boschi sfiorisco invece che fiorire? vastità sfiorata del lasciarsi andare * tutte le cose le ho sciupate sempre io io prima persona sola e singolare i rapporti i mestieri gli oggetti li ho perduti tutti io sempre io reo confesso di non essere mai vittima è mia la decisione di arretrare di disfare di partire di domare l’indomabile impulso a sgretolare tutte le cose le ho perdute sempre io * gli abeti non pensano a Dio asceti nativi vocati al silenzio al riparo dell’ombra all’accoglienza io li ho visti piangere e ho pianto ridere e ho sorriso io condannato alla rabbia al peccato a chiudere gli occhi a tenere il respiro fino all’attimo prima di morire a Vitare

Luigi Palazzo, "Bar Samarcanda", Transeuropa, 2021. Segnalazione di Claudia Di Palma

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Il marchese La barba è il giornale su cui è piegato dalle tre del pomeriggio e vi si possono leggere tra una ruga ed un ciuffo di grigio ogni notizia mancata, il necrologio d’un galantuomo ed un accenno di domanda. Le venature promanano dalle pupille e fanno la conta degli sguardi schivati con un sorso. Si fa chiamare Marchese ma chi lo riconosce non sa spiegarne il motivo. * Il tavolo 5 Ai posti in cui ogni pomeriggio quattro pensionati degradano l’Altissimo invocando un tre di briscola dei ragazzini in età da scooter che simulano i crismi degli adulti ticchettando sugli smartphone raccolgono il testimone ed alternano  matonne  e santi a morsi ad un panino smezzato. Fuori il mondo assume le sembianze di un piccolo paese come uno qualsiasi che ha perso lo scudo della fantasia e la culla del sempre. * Miriana Polsi e piedi offerti alla Bellezza dai primi accenni di sorriso ai chiodi spietati d’uno sguardo o di un’assenza. L’eresia e lo scudo, l’interno coscia e la mano. Ciò che sarebbe

Francesco Balasso, Premio Speciale della Giuria, Premio Poeti Oggi 2023

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una barca, due ombrelloni chiusi. Nessun cerchio nell’acqua dove ci eravamo abbracciati: la felicità non duplicabile. La luce screpolata del chiosco ha cancellato la linea dell’orizzonte e la luna non è che un buco nella notte: non posso partire, perdermi e, fuori dal mondo, morire. Come sono luminose le stelle finché guardo nel mirino: la spiaggia, il borgo antico, tu in primo piano che mangi la pizza e ti metti in posa per sempre. Metto a fuoco i limiti della scena le finestre a picco sul lago, la fine delle luci elettriche nel corso, dove il silenzio è solo silenzio. I miei mille sogni su quella boa sgranata. Scatto. Averlo potuto sentire, il respiro lungo delle assi del molo. Sono qui, tutto dentro il mio confine. Un fotone sulla patina delle cose. * Francesco Balasso (Thiene, 1986) è insegnante, poeta e artista. Finalista in diversi concorsi nazionali, ha pubblicato alcuni contributi sulla "Bottega della poesia – La Repubblica" e una silloge poetica su "Officina iP

Paolo Gera, "La ricostruzione di Parigi (ai tempi della presente guerra)", Transeuropa, 2023.

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Ci abitava un mago, un illusionista, ha fatto nascere dal nulla una casetta in mezzo alla banlieue oppure sono i palazzi dei migranti sorti intorno come una squadra di funghi ben equipaggiati intorno a un edelweiss. Ci siamo stati un mese quest’estate, aveva un giardino fiorito col sambuco, un vicino bengalese in vena di monologhi e sopra ancora il cielo di Parigi, azzurre anche le nuvole. Su un palazzo altissimo c’era il pezzo di un guerriero zulu che lo copriva tutto e pareva al tramonto sorvegliare le auto come pecore. Lo straniero ero io, cauto nell’andarmene, che compravo pane ai cereali in un forno cinese e acqua minerale in un market di indiani, anche se le chiavi mi illudevano fossi quello di casa. Sorbivo allora l’intimità del rifugio, con le porte aperte sul prato recintato, le donne che amavo che mi davano pensieri e una canzone di Coltrane che cuciva e ricuciva. Ora d’inverno ho gli occhi lucidi per quella casa e un’altra, e immagino sia mia la nostalgia serale del vero pro

Silvia Patrizio, "Smentire il bianco", Arcipelago itaca Edizioni, 2023

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Il sapore è quotidiano, del cibo annerito sui fornelli, e un sollievo di torta alle mele. Non c’è altro da prelevare all’incoscienza tenuta nel rilievo di una telefonata attesa, e subito ritratta dalla mancanza d’aria che si apre appena prima di avvistare le pareti, o sospettarle. * Così è il turno degli oggetti: anello come anestesia colpa come cibo accantonato pozzo come pianto bianco come braccio che si blocca letto come lingua o come fiume che si spacca come fine. * trattiene solo un filo degli inverni mai contati la sottile disciplina dell’acqua che goccia a goccia smentisce la roccia. * Come ricavare dal fango il senso corale del danno? Ci si addestra a enumerare i personaggi della storia: la matta l’adultera la vedova la madre la croce l’esercito di girasoli in marcia compatta a rinominare la luce. * Dal dolore si spalanca un’aurora di gratitudine, dice il parroco nella certezza del porto. Penso non è per tutti l’altra riva: il vocabolario di avanzi sembra staccarsi dall’altare