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Visualizzazione dei post da settembre, 2023

"Fresco di stampa": Luca Pizzolitto, "Getsemani", peQuod, 2023

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Il parto avaro della notte mastica e sputa la displasia del giorno, separi il respiro in due acque. I cieli divisi della tua fame. Nell’abisso, nel vuoto non esiste parola. * La vita che attraversiamo a mezz’ora dall’autogrill. Fibra minuta, fragile. Il nostro umano non restare, cadere, farsi pioggia in aprile. Lasciare. * Agosto è fermo sopra i tuoi occhi approdi dal mondo uccisi, dimenticati il senso smarrito delle cose, indistinto pudore nella luce. Nell’annuncio sacro del vento una spoglia, disamata bellezza. * Le fermate vuote dei tram, le corse lungo il fiume – si svela agli occhi il lento morire – il fiore svestito dei giorni. Ricuci lo spazio di fede, la luce guasta del mattino. * Il giorno breve di luce consuma dicembre nel sonno trafitto, l’elleboro fiorito. La tavola pronta, la cena mai consumata. L’amore è un cancro che mangia la carne, smagrisce ogni attesa. * Miseria della sete vetri rotti carne di sale, chimera e rovina cinque corpi a riva, sputati dal mare. * Chi getta

"Fresco di stampa": Ivan Crico, "L'antro siel del mondo", collana Lietocolle, Ronzani Editore, 2023

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La glicìnia I xe bei i fiori de la glicìnia de la curta vita, te me di ʃée. F óghi viola de seda, scuri òri sensa memoria e sensa mai modo de catarse, desfadi como neve in ta'l sol cu'i sacreti del s ó color... Vàrdeli. Te xe como l óri. Anca ti te arde in ta'l v óido. Il glicine Sono belli i fiori del glicine dalla breve vita, mi dicevi. Fuochi viola di seta, oscuri ori senza memoria e senza mai modo di trovarsi, dissolti come neve al sole con i segreti del loro colore... Guardali. Sei come loro. Anche tu ardi nel vuoto. * Solità del ciaro Solità del ciaro che 'l se distira gualìu sui paredi de le cànbare de domènega e te par de b ót che 'l vìvar integro, cun dut quel che 'l xe sta e che l'à 'ncora de nassìr, drento de élo al sìe serà. Solitudine della luce Solitudine della luce che si distende uniforme sulle pareti delle camere la domenica e sembra quasi che il vivere intero, con tutto ciò che è stato e che ancora deve accadere, in essa sia racchiuso *

Matteo Galluzzo, "Parlare ai nomi", peQuod, 2023

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le parole sono ferite nel bianco alfabeto mutilato dell’Altro. Che non venga, non venga mai la cicatrice * ho lanciato la voce in un altrove che non so dire. Ora qui seduto ne aspetto il ritorno, mi preparo perché possa accadere. Che torni la parola, che non sia altro che sé stessa * tra la nebbia e le bordate del sonno, viene la tua voce come una cosa amata caduta fuori da un’immagine. Lì tu esisti. E dici parole necessarie, di terra, di mani, di sale. Vieni ora all’appuntamento invisibile di questa pagina bianca. Insegnami ancora a non morire * restano solo le tracce nella casa vuota. Le macchie scure lasciate dai quadri, i teli bianchi come sudari sui mobili. Ma dimmi adesso dove suona quella voce che un tempo mi chiamava dalle stanze * la casa del ricordo è tutta gialla, nella luce fiamminga dell’infanzia. Da lì tu impari una lingua vulnerabile, dove anche il tuo corpo è una cosa da parlare. Trema un filo di voce tra fischi di grilli impazziti, nel caldo dell’estate * Arsura voglio

Salvatore Enrico Anselmi, tre poesie inedite

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A questo rigo A questo rigo, a questa piega rimaniamo appesi tenaci apprendisti, funamboli incerti scrutatori sulla scia increspata d’azzurro rappreso in questo cielo che lancia silenzio e lava furente, parole inconsuete versi trangugiati come acqua estratta dal ghiaccio serpeggiante più dei nostri sentori, più dei nostri pensieri sul viso, a sfidare lo sguardo, a guadare l’ombra limacciosa e contrapposta verso lame affamate di luce onnivora e stanziale * In attesa della sera I grilli prendevano il luogo delle cicale e in alterco confondevano il loro verso con quello degli altri, sottoposti alle foglie, in attesa della sera che non fosse più giallo stanziale pietra poco prestante al cammino. In attesa di essere umidi e bruni avvolti dalla notte, drappeggiati dal vento calante e chiari d’aria sotto foglie complici contavamo gli anni come giro di legni i sogni come visioni di scarso talento, con i sensi abbandonati al riposo sotto foglie caduche sotto foglie cadute e a strati raccolte pe

Alessandro Cartoni, "Cartoline degli addii", Fallone Editore, 2022

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le mattine col loro mistero alle porte rivelano lo sbigottimento, un odore di terra e di zucca che trascina verso il fondo, così i ricordi fanno i loro banchetti di terre gelate e fantasmi, perché c’è meno vita ovunque, anche tu ti aggrappi all’illusione che tutto possa essere lo stesso, ma il tuo giardino è amaro nell’odore di acque morte, fitto il muro delle sterpaglie e sopra nel cielo volano corvi scuri * aspettarti invano è lasciarsi attraversare da questa traccia vuota che hai lasciato nelle stanze assieme allo spillone per capelli non ha più senso ripararsi dalle giornate oscure che verranno, non ho l’età per immaginare che colore possa avere un altro nulla, lasciare solo questo bagliore acceso qui nel living dove siamo stati vivi, la nostra ferita aperta, il nostro splendido errore che sbiadisce nella notte * la sospensione lascia strascichi di addio sulle nostre sagome imbarazzate, abbiamo male immaginato la nostra prossima distanza quando dovremo sfiorarci domani senza vederc

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Berenice Valerio

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Nel salotto silenzioso con le mie lamette nuove:  finalmente primavera. * È sempre complicato scrivere composizioni poetiche molto brevi, perché si deve saper accentrare in pochi versi una grande pregnanza semantica che colpisca il lettore, insidiandolo e coinvolgendolo. Qui Berenice Valerio si cimenta in una versione non ortodossa dell’haiku derogando alla formula canonica del 5-7-5 a favore di una terzina di ottonari, tutti rigorosamente accentati di terza e settima, che conferiscono un ritmo giocoso e sognante all’insieme. La scelta metrica è congeniale alla leggerezza della poesia, in cui l’arrivo della primavera, anziché manifestarsi con le più classiche trasformazioni della natura o del clima, si annuncia nel gesto quotidiano delle “lamette nuove” usate con cura e riservatezza nel “salotto silenzioso”. Le deroghe sia al modello metrico sia ai cliché del contenuto ci offrono senz’altro un testo insolito, curioso; una poesia che si cristallizza nell’unicità dell’istante, con pochi

"Anteprima Portosepolto": Gisella Genna, "Rarefazione", peQuod, 2023

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Anche questo sogno andato anche il volto, il tuo essere a lato; ora che è poco fiorire, vai nel raggio preciso di un mattino. Posati polsi e palmi, un’ultima volta insieme alla terra sbiadire. * Ciò che deve accadere accade Casa di ringhiera e cotto dei primi novecento, la corte accoglieva propositi di nebbia. Tu, eri sommerso, io potevo solo esserci. Ai piedi del letto, per sempre riverso il padre. Schianto del corpo in prodigio di luce con una fantasmatica parvenza di voce. * Attraverso il deserto delle vite coralline      – roseo limbo d’aria – vedi, noi togliamo le vesti fino a scomparire. * La scintilla del tuo nome risplende ancora e ancora: punta tra le pleiadi fuoco cornice di desiderio, la fiamma è un petalo d’oro. * Continuo a vedere le finestre in cortile riflesse nella mia, le tende scolorite dal sole e qualche pianta di aromi sui davanzali. In viaggio verso casa sfilavano le abitazioni dei paesi di provincia. Gli indumenti messi ad asciugare, svuotati della presenza. Mi so