Matteo Galluzzo, "Parlare ai nomi", peQuod, 2023


le parole sono ferite nel bianco
alfabeto mutilato dell’Altro.
Che non venga, non venga mai
la cicatrice

*

ho lanciato la voce
in un altrove che non so dire.
Ora qui seduto ne aspetto il ritorno,
mi preparo perché possa accadere.
Che torni la parola,
che non sia altro che sé stessa

*

tra la nebbia e le bordate del sonno,
viene la tua voce
come una cosa amata
caduta fuori da un’immagine.
Lì tu esisti. E dici parole necessarie,
di terra, di mani, di sale.
Vieni ora all’appuntamento invisibile
di questa pagina bianca.
Insegnami ancora a non morire

*

restano solo le tracce
nella casa vuota. Le macchie
scure lasciate dai quadri,
i teli bianchi come sudari sui mobili.

Ma dimmi adesso dove suona
quella voce che un tempo
mi chiamava dalle stanze

*

la casa del ricordo è tutta gialla,
nella luce fiamminga dell’infanzia.
Da lì tu impari una lingua vulnerabile,
dove anche il tuo corpo è una cosa da parlare.

Trema un filo di voce
tra fischi di grilli impazziti,
nel caldo dell’estate

*

Arsura

voglio solo preghiere orizzontali,
che mi assilla questo cielo unanime
da cui non cade amore né una voce.

Oh luce obliqua
che spaventi le sagome
brucia i contorni alla mia sete
in questo deserto necessario
che porto nelle tasche.

Qui è la parola che non cura
la ferita tra segno e senso
battezzata nella lingua.
Queste lettere di sabbia,
che io tengo tra le mani
e lascio poi che il vento
le assembli in una forma
e le scomponga.

Amo soltanto ciò che si disgrega.

*

Matteo Galluzzo è nato a Genova il 22 dicembre 1985. Vive a Milano, dove si è laureato in Lettere moderne presso l’Università degli studi di Milano. A gennaio del 2020, una selezione di sue poesie è stata pubblicata da Lietocolle nell’antologia Ipoet 2019: Lunario in versi.  Sempre nel 2020, ha esordito con la raccolta di poesie Fehlen, edita da Ladolfi Editore.





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