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Matteo Galluzzo, "Parlare ai nomi", peQuod, 2023

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le parole sono ferite nel bianco alfabeto mutilato dell’Altro. Che non venga, non venga mai la cicatrice * ho lanciato la voce in un altrove che non so dire. Ora qui seduto ne aspetto il ritorno, mi preparo perché possa accadere. Che torni la parola, che non sia altro che sé stessa * tra la nebbia e le bordate del sonno, viene la tua voce come una cosa amata caduta fuori da un’immagine. Lì tu esisti. E dici parole necessarie, di terra, di mani, di sale. Vieni ora all’appuntamento invisibile di questa pagina bianca. Insegnami ancora a non morire * restano solo le tracce nella casa vuota. Le macchie scure lasciate dai quadri, i teli bianchi come sudari sui mobili. Ma dimmi adesso dove suona quella voce che un tempo mi chiamava dalle stanze * la casa del ricordo è tutta gialla, nella luce fiamminga dell’infanzia. Da lì tu impari una lingua vulnerabile, dove anche il tuo corpo è una cosa da parlare. Trema un filo di voce tra fischi di grilli impazziti, nel caldo dell’estate * Arsura voglio