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"Fresco di stampa": Luca Pizzolitto, "Getsemani", peQuod, 2023

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Il parto avaro della notte mastica e sputa la displasia del giorno, separi il respiro in due acque. I cieli divisi della tua fame. Nell’abisso, nel vuoto non esiste parola. * La vita che attraversiamo a mezz’ora dall’autogrill. Fibra minuta, fragile. Il nostro umano non restare, cadere, farsi pioggia in aprile. Lasciare. * Agosto è fermo sopra i tuoi occhi approdi dal mondo uccisi, dimenticati il senso smarrito delle cose, indistinto pudore nella luce. Nell’annuncio sacro del vento una spoglia, disamata bellezza. * Le fermate vuote dei tram, le corse lungo il fiume – si svela agli occhi il lento morire – il fiore svestito dei giorni. Ricuci lo spazio di fede, la luce guasta del mattino. * Il giorno breve di luce consuma dicembre nel sonno trafitto, l’elleboro fiorito. La tavola pronta, la cena mai consumata. L’amore è un cancro che mangia la carne, smagrisce ogni attesa. * Miseria della sete vetri rotti carne di sale, chimera e rovina cinque corpi a riva, sputati dal mare. * Chi getta

"Fresco di stampa": Ivan Crico, "L'antro siel del mondo", collana Lietocolle, Ronzani Editore, 2023

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La glicìnia I xe bei i fiori de la glicìnia de la curta vita, te me di ʃée. F óghi viola de seda, scuri òri sensa memoria e sensa mai modo de catarse, desfadi como neve in ta'l sol cu'i sacreti del s ó color... Vàrdeli. Te xe como l óri. Anca ti te arde in ta'l v óido. Il glicine Sono belli i fiori del glicine dalla breve vita, mi dicevi. Fuochi viola di seta, oscuri ori senza memoria e senza mai modo di trovarsi, dissolti come neve al sole con i segreti del loro colore... Guardali. Sei come loro. Anche tu ardi nel vuoto. * Solità del ciaro Solità del ciaro che 'l se distira gualìu sui paredi de le cànbare de domènega e te par de b ót che 'l vìvar integro, cun dut quel che 'l xe sta e che l'à 'ncora de nassìr, drento de élo al sìe serà. Solitudine della luce Solitudine della luce che si distende uniforme sulle pareti delle camere la domenica e sembra quasi che il vivere intero, con tutto ciò che è stato e che ancora deve accadere, in essa sia racchiuso *

Matteo Galluzzo, "Parlare ai nomi", peQuod, 2023

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le parole sono ferite nel bianco alfabeto mutilato dell’Altro. Che non venga, non venga mai la cicatrice * ho lanciato la voce in un altrove che non so dire. Ora qui seduto ne aspetto il ritorno, mi preparo perché possa accadere. Che torni la parola, che non sia altro che sé stessa * tra la nebbia e le bordate del sonno, viene la tua voce come una cosa amata caduta fuori da un’immagine. Lì tu esisti. E dici parole necessarie, di terra, di mani, di sale. Vieni ora all’appuntamento invisibile di questa pagina bianca. Insegnami ancora a non morire * restano solo le tracce nella casa vuota. Le macchie scure lasciate dai quadri, i teli bianchi come sudari sui mobili. Ma dimmi adesso dove suona quella voce che un tempo mi chiamava dalle stanze * la casa del ricordo è tutta gialla, nella luce fiamminga dell’infanzia. Da lì tu impari una lingua vulnerabile, dove anche il tuo corpo è una cosa da parlare. Trema un filo di voce tra fischi di grilli impazziti, nel caldo dell’estate * Arsura voglio

Alessandro Cartoni, "Cartoline degli addii", Fallone Editore, 2022

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le mattine col loro mistero alle porte rivelano lo sbigottimento, un odore di terra e di zucca che trascina verso il fondo, così i ricordi fanno i loro banchetti di terre gelate e fantasmi, perché c’è meno vita ovunque, anche tu ti aggrappi all’illusione che tutto possa essere lo stesso, ma il tuo giardino è amaro nell’odore di acque morte, fitto il muro delle sterpaglie e sopra nel cielo volano corvi scuri * aspettarti invano è lasciarsi attraversare da questa traccia vuota che hai lasciato nelle stanze assieme allo spillone per capelli non ha più senso ripararsi dalle giornate oscure che verranno, non ho l’età per immaginare che colore possa avere un altro nulla, lasciare solo questo bagliore acceso qui nel living dove siamo stati vivi, la nostra ferita aperta, il nostro splendido errore che sbiadisce nella notte * la sospensione lascia strascichi di addio sulle nostre sagome imbarazzate, abbiamo male immaginato la nostra prossima distanza quando dovremo sfiorarci domani senza vederc

"Anteprima Portosepolto": Gisella Genna, "Rarefazione", peQuod, 2023

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Anche questo sogno andato anche il volto, il tuo essere a lato; ora che è poco fiorire, vai nel raggio preciso di un mattino. Posati polsi e palmi, un’ultima volta insieme alla terra sbiadire. * Ciò che deve accadere accade Casa di ringhiera e cotto dei primi novecento, la corte accoglieva propositi di nebbia. Tu, eri sommerso, io potevo solo esserci. Ai piedi del letto, per sempre riverso il padre. Schianto del corpo in prodigio di luce con una fantasmatica parvenza di voce. * Attraverso il deserto delle vite coralline      – roseo limbo d’aria – vedi, noi togliamo le vesti fino a scomparire. * La scintilla del tuo nome risplende ancora e ancora: punta tra le pleiadi fuoco cornice di desiderio, la fiamma è un petalo d’oro. * Continuo a vedere le finestre in cortile riflesse nella mia, le tende scolorite dal sole e qualche pianta di aromi sui davanzali. In viaggio verso casa sfilavano le abitazioni dei paesi di provincia. Gli indumenti messi ad asciugare, svuotati della presenza. Mi so

"Fresco di stampa": Michela Zanarella, "L'eredità del bosco", Macabor Editore, 2023

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Nei rami di ciliegio si cela un’appartenenza la cicatrice di un’altalena esiste ancora nella memoria del vento e nel mio misurato e clemente ricordo di un’estate adolescente è come se l’attimo della spinta, del volo fosse rimasto intatto tra le dita del tempo mentre la vita popolava di spensieratezza gli occhi. Dice la montagna che salivo in alto quasi a uscire dai confini del sole volevo sicuramente far durare la luce oltre il cielo e magari ritrovarla a distanza di anni sul soffitto sotto forma di civetta e silenzio del bosco, luna matura in dormiveglia sui palazzi. * Quassù il vento a volte fa spavento sembra voglia spingere lontano il tempo le rocce hanno visto soldati perdersi e morire altro dolore più recente giungere al confine i rami dei ciliegi di notte rivivono la spinta di un passato che ritorna e di un presente che si assenta per fortuna la luna non smette mai di fiorire stasera è così rossa che pare un sogno di fuoco tra le cime ed io non ho che silenzio acceso tra le cigl

"Fresco di stampa": Rosaria Ragni Licinio, "Viatico per peccatori", Edizioni Ensemble, 2023

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Le stagioni rincorrono il mare le voci degli uomini sprofondano attaccate alla terra se il sole si perde tra le correnti del mondo ritornano i figli più in alto dove cresce una lievissima fiamma. * Raffigurarsi poveri prima di imitare i santi fare a meno dello stomaco e recidersi nel corpo per dire che non ci sono radici ma debiti divisi in due parti. * Assaltare lo schermo con le ombre in fila indiana segni illeggibili mentre qualcosa si sganghera e non c’è una ricompensa per gli occhi feriti, un gran correre nell’acquario di insetti e parole se affondo la testa e sono già altrove in nessuna memoria la vita di prima: le mani, i piedi e tutto lo sguardo. * Il verde trascende gli occhi e l’interferenza trascina la biologia del corpo dove piovono stelle oltre le lettere rivoluzione di senso e macchia assillante. Ostaggio senza alcun testimone: oltre le grate della ragione Dio rovista tra le voci dei santi. * Da questo mettersi in lontananza capita di contenere misure le muse che accadono

Francesco Gallina, “Medicinalia”, Marco Saya Edizioni, 2022. Segnalazione di Fabrizio Bregoli

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La grafia del medico di famiglia è una in gamba  la farmacista sotto casa  si dice abbia  avuto maestri illustri (Champollion,  Evans, Ventris), che persino  Dan Brown l’abbia chiamata  in consultazione privata  sulla decodifica di antichi alfabeti in codice  dunque, cari miei, nessuno stupore  se ha antenne per captare  la calligrafia e la sua mistica,  l’arzigogolo arabeggiante, l’esotico  ondeggiare dell’inchiostro  sulla stele di Rosetta  fresca di cartuccia * Il distacco non oltrepassare la linea gialla  è una legge non scritta: in Medicina  giudicare il male da lontano,  il suo pantano smisurato,  è una forma di tutela  dal dolore, il viandante sul mare  di nebbia è il dottore che conserva  l’emozione, la traduce in ragione  con cautela  non avertene a male, se usa ironia,  talvolta, questa poesia,  se si fa medicin-alia , altra medicina,  se squadra senza pianto  il nostro male (sperimentato lo abbiamo  più d’una volta: un’eterna rivolta)  e se è sacro, il nostro male  lo render