Irene Sabetta, "Nella cenere dei giochi", La Vita Felice, 2022. Segnalazione di Claudia Di Palma


La lingua di mia madre

Sepolta sotto un mucchio di sassi,
la lingua sotterranea
come pietra filosofale
genera modi e pensieri
appuntiti.
Pastorale anarchica
in cui pecore in cravatta
siedono agli sportelli dell’ufficio postale.
La pioggia annaffia la cicoria
del prato
dove tu una volta
mi dicesti resta.
I giganti della collina
trasmettono che la vita
è una farsa pericolosa.
State attenti.
Nel punto in cui
i due fiumi confluiscono
con tutti i pianti del mondo
il lago si fa fitto più della collina.
Acqua melmosa nutre tinche limacciose
buone per le sagre d’estate.
Le cadenze della tua voce
mi parlano sempre
nell’aria umida del lago fuori posto.
Casa discreta e disadorna
dalla nascita alla fine.

Di parole disadorne che non sbagliano la mira.
Estensione dei territori, confino ristretto e intimo,
liquido prenatale più che verbo.

*

Twist

Gli orfani non sanno ascoltare,
restare a casa per cena
o servire il re di Spagna
e tornare in tempo
per il funerale.
Imparano senza studiare.
Si siedono a tavola
quando i morti si alzano
e rinascono
quando gli dei muoiono.
Sputano nella buca del suggeritore.
I morti sono morti
o semplicemente
sono vivi stanchi di parlare?
Non smettono di chiederselo
neanche quando
sul ponte non c’è più nessuno
e l’uomo con cui giocavano a scacchi prima di nascere
li svende al miglior offerente.
Gli orfani non mordono,
divorano.
Stanno attenti a dove mettono i piedi
e calpestano le primule nel prato.
Sono tutti uguali
e hanno in comune
ossa rotte riabilitate,
vicoli ciechi da sfondare
amici e parenti
da escludere
dalla lista degli invitati.
Orfani di sorelle e fratelli,
di genitori orfani
di figli.

*

Avviso

(i trasgressori saranno severamente puniti)

Mi preme comandare
agli occhi invisibili
di non sostare troppo a lungo
nella zona retrostante
alla linea della memoria quasi certa.
Oltre il confine dei dieci/otto anni
si rischia di infrangersi
nell’io sconosciuto
e ancora maldestro
che fa a brandelli
la conoscenza immune da delusione.
Battere a caccia d’identità
la macchia chiara delle vacanze estive
col fucile in spalla, pronti a mirare,
è proibito dalla legge dell’evoluzione
che impone di occultare il fosso
con sassi di fiume e sabbia fina.
Pericoloso incedere sul bordo della pietraia,
attratti dal giallo di affioranti pepite d’oro
sorridenti come ritratti di bambini
appesi a un filo.
Occhi invisibili, non visti e non vedenti,
rivolgete altrove lo sguardo implorante
e lasciate che l’orecchio soltanto
si appresti a udire il colpo, il grido, la condanna.

*

La radiografia dell’invisibile
ha il tuo volto e le tue mani.
Sei tu che svieni nel deserto
in cerca d’oro.
Sei tu che ti perdi nei pixel
in cerca di somiglianze.
Sei ancora tu quello di cui si nasconde l’identità.

*

Mattina di novembre

La promessa autunnale
di frutti fuori stagione
al posto della pioggia.
Il fiore nel vaso sul balcone
disegna angoli inespressi
del suo apparire.
Le conversazioni al telefono
della sera prima
a fermentare sulla tavola con il vino.

Ho visto una poesia
alzarsi e camminare
libera e scalza attraverso i muri.
Tra poco rinascerò anche io.

*

All'immaginazione preventiva

Se camminassi sulle parole
la tua poesia reggerebbe il peso.
Potrei usarla
per raschiare il fondo d’acciaio
o per piantare
chiodi alle pareti.
Potrei costruire città
o giardini accoglienti
impastando i tuoi versi
a calce viva.
Finalmente parole utili.
Se costruissi una scala d’avverbi
potrei salire fino all’ultimo gradino
e seguire la curva di luce.
Vedrei lontano
gli alberi cadere nella foresta
e saprei cosa fare.
Domani sarebbe adesso.

*

Irene Sabetta vive ad Alatri, dove insegna Lingua e letteratura inglese al liceo. Suoi testi sono presenti su diversi blog, in antologie curate da vari editori, in poemi collettivi e riviste letterarie on line e cartacee. Nel 2018 è uscita per Edizioni EscaMontage la plaquette Inconcludendo. Nel 2020 ha pubblicato la raccolta Il mondo visto da vicino (Il Convivio Editore).





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