Massimo Del Prete, "Termini per una resa", Nino Aragno Editore, 2022. Segnalazione di Claudia Di Palma


Cantando un dolceacqua il sommelier
intonava ‘complesso in sottrazione’.
La metafora vinicola parlava
dell’esatta inclinazione delle cose:
così le labbra
prima che sappiano del bacio
o i tuoi vent’anni
che ancora hanno il potere
di scegliere per te qualunque sogno.

Ci circonda un mondo sordo, indifferente
alla tua voce che vorrebbe dire tutto:
allora tu rinuncia al pantano dei discorsi
all’istinto di arrivare sempre a un punto
sottrai alle tue parole qualche sillaba.

Ascolta quanti mondi nel silenzio.

*

Il profumo, per esempio, non può farsi
segnale di luce segno di te
dei tuoi passi che sapevano
di cocco e di anguria
delle dita inzuppate di sale.
Nessun codice può darne e ritrasmettere
l’esatta sequenza di molecole –
                                                  per questo
c’è bisogno di un corpo
proprio oggi proprio adesso
un corpo che ti nomini
che provochi la tua esistenza –
                                                 ma vedi
questo bisogno e questa assenza
sono la firma
la linea spezzata dei nostri tempi.

*

Il laccio che ci unisce
diranno che è nel sangue nei geni
nel medesimo humus culturale
                                 
                                     ma sbaglieranno

è tutto nei contorni
coimplicanti delle ombre
nei toni di nero dei bui
nell’identica corrente circolare
che ci spinge all’abbandono rapinoso
verso un grave silenzio di caverna
                                      e dalla volta
lo stillicidio denso dei cuori
incolto.

*

Del nostro ricoverare negli androni
ho salvato il sollievo dall’inverno
la voce intenta a mordersi la coda
l’orecchio tutto teso alle intrusioni
                                                        ma oggi

si svolgono le pendici di marzo
il tuo volo si è mutato in passo
la fuga in cammino
                        oggi tu concedi
alla mano che ti trama il viso
di riannodare i fili al tuo principio –
il viso sul cui bordo trascorreva
la meccanica sequenza dei soli occidui
                                                           e poco oltre
la bocca traballante
su cui ti albeggia la parola.

*

La memoria degli ultimi è la prima
a scomparire: ultimi come noi
uomini stanchi che cedono
alla disgrazia del tempo.
Scrivere e tramandare non si equivalgono
più: pensiamo di potere ma non possiamo
fissare la catena del ricordo
che si inanella a ritroso gettandosi
in un vuoto in una nebbia.

Anche noi cadremo in questa sorte
basterà un nipote e suo figlio bambino
a cui nessuno dirà il nostro nome –
questo
         questo sarà sbiadire
aver vissuto per un altro mondo.

*

Massimo Del Prete (Taranto, 1993) ha vissuto a Martina Franca, in Puglia, e attualmente abita e lavora a Milano. È laureato in Ingegneria chimica presso l’Università di Pisa e in Storia della Lingua Italiana presso l’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato nel 2018 la sua prima raccolta poetica, Soglie (Ladolfi). È incluso nell’antologia Abitare la parola. Poeti nati negli anni Novanta, a cura di Eleonora Rimolo e Giovanni Ibello (Ladolfi, 2019).





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