Gabriele Marturano, “L’anfibio”, Fucine Editoriali, 2020. Segnalazione di Fabrizio Bregoli


Viviamo sugli allori
della nostra malattia,
aspettando un’inattesa sincerità.
Questa birra è un rito abbreviato
che mi stana dal mio pozzo
arredato. La vita è un’istantanea:
più passa il tempo più capisci
cosa c’è dentro.
Metto elio nelle vene,
ogni zavorra di certezza la lancio,
come monete sul tavolo per il conto,
nella vertigine d’un embolo emergo,
m’intasco afelio e perielio.

*

Apro la porta:
luce canini 
che premono ai cardini degli occhi 
spudorata mi bracca 
una parte di me si dà alla macchia,
teme l’interrogatorio.
Dio, boria che sfoggia
il suo repertorio, mio calvario, 
a naso proseguo
nell’aria lattiginosa 
- ara pacis spettrale e muto -
si disanima la mia retina
mentre una macchina falcia 
le gambe alla nebbia
che presto si ricompone.
Anche oggi a tentoni cerco 
la via d’uscita
di un mondo
senza entrata.

*

L’ikebanista 

Mi porto per mano ora,
non ho più segreti:
la luce inonda
ogni mia ombra
che si assottiglia, assume
la forma di un ramo
che lavoro per l’armonia 
della composizione;
ora vivo nel giardino
che biondeggia tra le rovine
delle mie segrete,
dono un fiore a chi mi chiede
qual è la forza
per sorridere alla pioggia. La pioggia
nutre la sete. Le tenebre 
danno riposo alla luce.

Per quante volte 
nella notte non ho visto
questi rami spinosi,
sono tigrato. Sono grato
per questo, ora come tigre osservo
la fragilità di ogni ramo
e sono libero di essere
ciò che temo.

*

Gabriele Marturano nasce a Carate Brianza nel 1992, ma vive da sempre a Verano Brianza. Si è laureato in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano, insegna materie umanistiche nelle scuole secondarie di I grado della Brianza e ha scritto per una rivista internazionale di musica. La raccolta di poesie L’anfibio, edita da Fucine Editoriali nel 2020 rappresenta il suo esordio.





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