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Visualizzazione dei post con l'etichetta Fabrizio Bregoli

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Giacomo Pedone

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Da sempre ho vissuto un’esistenza in differita, dilacerata dal rimando per obbligo, officio o grottesca natura giungendo là dove s’arriva senza premura. E ora trascorro d’automa la mia non vita conscio che sempre meno ne resta sulle dita e se l’ultimo giorno mi chiedo sia differito prolungando lo strazio dove per tutti è già finito. * Giacomo Pedone ci propone una poesia-pensiero sul senso dell’esistenza strutturata in due quartine senza rigidità metrica precostituita, ma con un evidente gusto per la rima, anche facile, che genera un contrasto voluto con il tema impegnativo sostenuto dalla poesia. Tutto verte sull’idea della inadeguatezza, di una “esistenza” - la propria - vissuta “in differita”, sotto il peso delle costrizioni imposte (elencando le quali si propende anche a un certo gusto per il termine desueto come in “officio”); vita “non vita” che viene esperita nella forma di “automa”, riprendendo un motivo che fu già di Cavalcanti e più recentemente rielaborato da Rebora e Paglia

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Marco Candela

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una forma infantile di gelosia Se Robinson Crusoe avesse chiamato Giovedì l'indigeno salvato sull'isola deserta, mi avrebbe semplificato la scrittura di questo verso. Quando si avvicina il giovedì Santo è vietato mangiare carne: ancora oggi aggiorno la lista dei numerosi peccati finora commessi. Tre rose rosse e una bottiglia di cognac sulla tomba di Edgar Allan Poe. Al corteo funebre, gli unici a chinare il capo furono un corvo e un gatto nero. Era una forma infantile di gelosia. Strappare per dispetto i petali bianchi di un fiore divinatore. Cos'ho di te? Nulla. Di me hai tutto ciò che ho voluto darti. Ci sono ancora bambini e topi ad Hameln? Per le strade non si sente volare un insetto. I quattro musicanti di Brema stasera si esibiscono altrove. Non era giovedì quando venne ammazzato John Lennon: il suo numero fortunato era il 9, il mio il 7. San Marco folgorato sulle strisce di Abbey Road. * Marco Candela ci propone una poesia davvero singolare, straniante e complessa d

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Berenice Valerio

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Nel salotto silenzioso con le mie lamette nuove:  finalmente primavera. * È sempre complicato scrivere composizioni poetiche molto brevi, perché si deve saper accentrare in pochi versi una grande pregnanza semantica che colpisca il lettore, insidiandolo e coinvolgendolo. Qui Berenice Valerio si cimenta in una versione non ortodossa dell’haiku derogando alla formula canonica del 5-7-5 a favore di una terzina di ottonari, tutti rigorosamente accentati di terza e settima, che conferiscono un ritmo giocoso e sognante all’insieme. La scelta metrica è congeniale alla leggerezza della poesia, in cui l’arrivo della primavera, anziché manifestarsi con le più classiche trasformazioni della natura o del clima, si annuncia nel gesto quotidiano delle “lamette nuove” usate con cura e riservatezza nel “salotto silenzioso”. Le deroghe sia al modello metrico sia ai cliché del contenuto ci offrono senz’altro un testo insolito, curioso; una poesia che si cristallizza nell’unicità dell’istante, con pochi

Francesco Gallina, “Medicinalia”, Marco Saya Edizioni, 2022. Segnalazione di Fabrizio Bregoli

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La grafia del medico di famiglia è una in gamba  la farmacista sotto casa  si dice abbia  avuto maestri illustri (Champollion,  Evans, Ventris), che persino  Dan Brown l’abbia chiamata  in consultazione privata  sulla decodifica di antichi alfabeti in codice  dunque, cari miei, nessuno stupore  se ha antenne per captare  la calligrafia e la sua mistica,  l’arzigogolo arabeggiante, l’esotico  ondeggiare dell’inchiostro  sulla stele di Rosetta  fresca di cartuccia * Il distacco non oltrepassare la linea gialla  è una legge non scritta: in Medicina  giudicare il male da lontano,  il suo pantano smisurato,  è una forma di tutela  dal dolore, il viandante sul mare  di nebbia è il dottore che conserva  l’emozione, la traduce in ragione  con cautela  non avertene a male, se usa ironia,  talvolta, questa poesia,  se si fa medicin-alia , altra medicina,  se squadra senza pianto  il nostro male (sperimentato lo abbiamo  più d’una volta: un’eterna rivolta)  e se è sacro, il nostro male  lo render

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Margherita Autuori

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Stavolta sono andata fino in fondo al corridoio: in camera la luce era accesa ci illuminava intenti a spogliarci, una lama dopo l’altra ci toglievamo il mondo di dosso fino alla fine che non ha ossa e non vede come vedono gli uomini. * La luce è da sempre uno degli elementi chiave che più spesso ricorre in poesia: genera illuminazioni, evidenzia zone d’ombra. È fedele a questo insegnamento Margherita Autuori che “Stavolta” (incipit che allude da subito a un’eccezionalità da cui nasce la sua poesia) vive l’esperienza della luce come “una lama”, fautrice di un processo di spoliazione, di scarnificazione, che riduce la realtà alle sue “ossa”, alla sua radice costitutiva. Come per Cattafi, giungere fino all’”osso” equivale a conoscere l”’anima”, la ragione profonda, il significato sotteso alla realtà. Rimosso tutto il superfluo si accede allora alla vista autentica, quella che “non vede / come vedono gli uomini”, apre varchi di conoscenza e di esperienza scevri da sedimentazioni e convenzi

Raffaele Floris, vincitore Premio Poeti Oggi 2023

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Intermittenza Conoscono il patibolo dei muri, la diaspora dei crocifissi appesi: hanno aspettato tanto nel sentore del muschio e del salnitro. Le stagioni hanno marcato il passo, lo sconforto si è acceso ed è bruciata la candela. Che cosa ci diranno, in questa lotta di spettri che conficcano le punte delle lancette arrugginite ai polsi? Che cosa ci diranno dall’esilio degli orologi? Forse dovevamo pensarci prima: è bianca intermittenza quel lume acceso, quel silenzio buono. * La poesia di Raffaele Floris, composta in perfetti endecasillabi sciolti, si contraddistingue immediatamente per la nitidezza stilistica, l’impostazione lucida, l’armonia e la misura d’insieme. Colpisce la riflessione pacata, ma sempre profonda, sul significato del trascorrere del tempo, rappresentato con immagini efficaci, secondo un metodo affine al correlativo oggettivo, anche se non esente da un certo realismo di fondo che contribuisce alla autenticità dell’impostazione. “In questa lotta di spettri” che domina

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Sheila Moscatelli

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Quando ci rivedremo non saprò come toccarti calpesteremo ombre crepitanti di foglie accese illumineremo sotterranei di ossa e radici cuciremo ali trasparenti di fiducia Con parole in grappoli riempiremo bicchieri di silenzio senza romperlo * Sheila Moscatelli ci conduce per mano in un suo universo tutto privato, intimo, con versi che parlano al futuro, che annunciano un ritorno: di un caro? dell’amato? La risposta spetta all’immaginazione del lettore che proiettato in questo mondo ne diventa partecipe - non solo spettatore, ma parte in causa. Tutto si articola nella libertà delle parole che si dispongono obbedendo solo a sé stesse, senza punteggiatura, cadenzate solo dagli spazi bianchi, dal loro fragile equilibrio con il silenzio. Le metafore e i simboli conferiscono un’atmosfera sospesa, magica, al quadro d’insieme, che resta soffuso fra giochi d’ombre, trasparenze, luce che si fa strada fra “sotterranei / di ossa e radici”, tutto funzionale al disvelamento finale: l’antitesi fra “pa

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Valentina Furlotti

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Pago le bollette del mio amore per te. Alla grande domanda «Non lo so» dici  e dici: «Niente» mentre secoli dedicati  a un’esistenza double-face implodono e si declassano a tempo bieco, tempo sordo. * Valentina Furlotti si cimenta nell’impresa di scrivere una poesia d’amore e, con intelligenza, sceglie la strada dell’understatement, del sottotono lirico: la verifica sull’effettiva tenuta del sentimento, della sua verità, si traduce nell’immagine, quasi irriverente, delle “bollette” pagate, in una resa dei conti tutta contabile, liquidata a ordinaria amministrazione. Alla “grande domanda” posta dall’autrice corrisponde il vivace inserto dialogico all’insegna della indecidibilità o della minimizzazione da parte del suo interlocutore, ben presente anche se mai esplicitamente nominato, presenza-assenza di fronte alla grande sfida che si pone. Tutto si risolve allora nella scarna constatazione di “un’esistenza double-face” a cui si sono iperbolicamente dedicati “secoli” inutilmente spesi, p

Emilia Barbato, “Primo piano increspato”, Stampa 2009, 2022. Segnalazione di Fabrizio Bregoli

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La vernice chiede al croco la memoria dei suoi stimmi, all’eliotropo quel colore su cui riposano chiarori e trasparenze che colmano la lunga assenza della materia. La parola è un fossile, lo scheletro di un suono che si ripiega in un cerchio d’osso, un’essenza vuota di zafferano. * Con un peso di piedi sul paesaggio lunare della spiaggia la casa dischiude la porta, il vento corre salmastro dalle stanze. Le giovani dune versano il dorato muto del giorno e i gigli marini si spezzano sul litorale non curati dagli occhi. Perfino le drupe di ginepro si piegano all’unicità; due piccole righe, bianche, filano agili negli aghi. * Tutte le mattine lisci il letto lentamente, cerchi le vestigia dei capelli, l’eco di una risata che scuota l’aria della stanza, un sorriso rosso e carnale ma nello specchio trovi solo un concetto molto consueto di piastrelle. * Avremmo dovuto restare segreti, un po’ dimenticati come locande remote di campagna. Avremmo dovuto essere fitti muschi insinuarci nelle clavic

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli Legge Letizia Polini

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Dove la madre vede un campo la figlia sprofonda a perpendicolo in cucina in bilico tra fornello e depositi di sugo a favore dell'amore per la procrastinazione nell'attesa che qualcosa il cucchiaio schiantato sotto lo sportello non chiude fa geometrie buie gli anni si vedono nel loro accasciarsi sulla piastrella che si scolla e intanto la figlia cade dalla madre la figlia gomiti sul tavolo pensa a quando bastava fingere di dormire per farsi portare sulle spalle e ora sotto ai gomiti anche il tavolo crolla. * La poesia proposta da Letizia Polini ha tutto il suo sviluppo nell’ambiente domestico, quella casa che, da luogo intimo e accogliente, come viene di solito percepito, si trasforma qui in luogo del conflitto interiore, ambiente straniante e a tratti surreale, dove si consuma un rapporto serrato e drammatico fra madre e figlia. Non ci è dato sapere quali siano le cause scatenanti; vengono messe in risalto solo le conseguenze, nella forma di “geometrie buie”, anni che si accasc

Gabriele Marturano, “L’anfibio”, Fucine Editoriali, 2020. Segnalazione di Fabrizio Bregoli

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Viviamo sugli allori della nostra malattia, aspettando un’inattesa sincerità. Questa birra è un rito abbreviato che mi stana dal mio pozzo arredato. La vita è un’istantanea: più passa il tempo più capisci cosa c’è dentro. Metto elio nelle vene, ogni zavorra di certezza la lancio, come monete sul tavolo per il conto, nella vertigine d’un embolo emergo, m’intasco afelio e perielio. * Apro la porta: luce canini  che premono ai cardini degli occhi  spudorata mi bracca  una parte di me si dà alla macchia, teme l’interrogatorio. Dio, boria che sfoggia il suo repertorio, mio calvario,  a naso proseguo nell’aria lattiginosa  - ara pacis spettrale e muto - si disanima la mia retina mentre una macchina falcia  le gambe alla nebbia che presto si ricompone. Anche oggi a tentoni cerco  la via d’uscita di un mondo senza entrata. * L’ikebanista  Mi porto per mano ora, non ho più segreti: la luce inonda ogni mia ombra che si assottiglia, assume la forma di un ramo che lavoro per l’armonia  della compo

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Marco Mittica

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Genotipo delle rovine che cadono dove amarsi-amare abbatte i confini, la legge, le case dei padri, le stanze delle madri. I porti non portano più stoffa, ma esperti di anarchia che sanno cosa fare in questo nulla. * Questa poesia di Marco Mittica costruita attorno a due enunciati che si sviluppano con un andamento in apparenza lineare, racchiude in sé numerosi elementi spiazzanti, sottintesi, associazioni nascoste e segrete che ne rappresentano l’elemento di maggiore suggestione. Difficile offrire un quadro univoco di lettura; a ciascuno spetta interiorizzare i versi e costruirne una sua mappa interpretativa, come faremo anche noi in questa nota. Tutto può avvenire solo per slanci intuitivi, per tentativi di comprensione. Il testo si sviluppa sulle due parole-chiave “rovine” e “porti” che reggono gli enunciati del discorso e il tema centrale dell’allontanamento dalle proprie origini, dai propri “confini”, dalle “case dei padri” e dalle “stanze delle madri”. Questa condizione obbligata

Maurizio Paganelli, “Libro mastro”, puntoacapo Editrice, 2021. Segnalazione di Fabrizio Bregoli

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L’apostata Son poche le parole, ché l’affetto non ne cerca altre e il tempo assieme è stato tanto. Per mia colpa non ci si intende le volte in cui provo a parlarvi. Ciascuno tesse il suo drappo dorato dell’infanzia e l’ostende: son io l’apostata, che eccettua i casi, l’anonima semenza volata in altri vasi. Però la vostra stagione e natura le rispetto e lo zelo nel seguire per anni la palestra del dolore, che v’ha resi di sasso e inetti a ogni trapasso e al mio pudore. Così, se fiato, divento invisibile, poi torno piccino tacendo, senza scampo d’esistere sul serio. * Pellegrini Attraverso la grata di un convento di clausura conobbi la gioia inattaccabile. Il sorriso e la voce di una suora, poco più che ventenne, ci invitarono alla contemplazione del Santissimo nell’alba del giorno che da Sutri ci avrebbe condotto a Campagnano. Lo sguardo libero, profondo, immobile, sereno, dolce, pieno, era molto bello e forse folle. Le attraversava la pelle lo splendore di chi è già stato scelto e soll

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Silvia Atzori

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Occasione per contarmi gli atomi stasera è il corallo lucido del cielo che oggi finisce in gloria d’oro smorzata in fiamma di fornello a gas.  E prima di spegnersi nel blu della cenere sussulta sussurra una saggia verità vera: anche se tu fossi pianta o sasso o verme anche allora mi ameresti: alla solitudine costretti ci si strappa  e quando arriva la sera è sempre d’Amore che si parla * Questa poesia di Silvia Atzori si caratterizza per la sua struttura circolare: al bisogno di fare i conti con sé stessi (“contarmi gli atomi stasera”) messo in evidenza dall’incipit fulminante fa da contraltare l’ultimo verso, ugualmente decisivo (“è sempre d’Amore che si parla”), chiusa dal sapore gnomico che bene riassume, nell’explicit, la ragione profonda da cui nasce la poesia stessa: parlare d’amore come rimedio unico alla solitudine di ciascuno, di tutti. Il testo si inserisce a pieno diritto nel genere lirico dal quale attinge espedienti evidenti soprattutto a livello di figure retoriche e per