Davide Castiglione, "Doveri di una costruzione", Industria & Letteratura, 2022


Autoritratto

Sei scalfibile qui. Sei sette anni
indietro. Hai ricci estrosi e dei tratti
smussati come le volute
nella schiuma del chai latte.
E sotto e accanto c’è lei; con la gioia
di chi piega un po’ la testa.

Ti squadra nelle linee di Varnelis
un’altra foto scattata l’altro ieri.
Sembri determinato, non pensi.
Gli anni diritti in nette verticali.
Chi avrà fatto bunker di un volto?
Che lesione ha inflitto sulle lenti?

Confronta le due, tentenna,
trentenne si domanda se la faglia
lo abbia innaturato o estromesso,
se sia forza la cucitura scomparsa
o piuttosto un tronco rattrappito
strusciato dal conflitto che lo scansa.

*

L’altra

Lo sporco della coscienza gli tracimava dagli occhi
lei adesso veniva guardata in quel modo
veniva guardata con quei detriti addosso

perciò quando stava per lasciare il suolo
la caviglia accesa di slancio nel vederlo
qualcosa non tornava l’immagine di lui
testimoniò l’odore e l’immersione nell’altra
tutto immiseriva s’immerdava tutto

le gambe le si fecero pesanti,
i muscoli rigidi come un panno
su cui è calata un’intera glaciazione.

*

In apnea

A un certo punto gli occhi smettono di seguirti.
Ti preferiscono i cartelloni, la plastica dei sedili.
I geni incarcerati dentro me a un certo punto

salpano, mettono il tesoro in salvo
dall’ennesimo sfogo sulla tua pelle:
che figlio debole il nostro sarebbe,

sarebbe stato. Io tentato li seguo mi salvo
dallo stagno dove il collo dei cigni
sembra segato dai remi. Il becco asfissiato

dalla vernice. Il paesaggio piatto in apnea.
Quanta tenacia e piedistallo da parte tua,
quanta terraferma. E spogliarelli, intelligenza.

Io sono mesi che non cucino un pasto decente.
Eppure ho pensato d’invecchiarti accanto
pregando gli spifferi di entrare, di sollevarci.

*

Puoi sbandare

Esci e nel farlo abbraccia quel che viene.
La barriera delle schiene ai tavoli.
La maglietta che hai, da quindicenne.
Il guanto dello sguardo che agganciava
le ragazze e le perde
nella schiuma di una birra sbagliata.
Abbraccia quel mestolo calato
nella caraffa del disegno
in chiaroscuro di lei; e te stesso,
che lì davanti diventavi una lacrima sola.

*

Marzo duemilaventi

«Non ce l’ha fatta». Non ce
l’ha fatta. Aveva una voce ruvida e calda,
di pepite che scoppiettano imbiancate in camino,
restava salda nel sorriso che apriva, che non era solo
il sorriso di servizio dei pranzi la domenica. Sono

volato fuori casa, i fuochi d’artificio che qui era
festa nazionale, trent’anni dopo i carroarmati.
Sono volato fuori casa, la palestra, vediamo
se le braccia finiranno per toccarsi in preghiera
mentre si sforzano di vincere il carico nero.
Poi casa. Clausura senza spirito, lo spirito verrà
e sarà spirito d’iniziativa, parola pesata per chi è lontano,
calore che corre su Skype, torta di mele infornata.

Qui l’aria è buona, non pare trasportare.
Le foglie un poco smosse metterebbero pace.
Se non fosse che i numeri. Se non fosse
che tosse, se non fosse
che i nastri plastificati, gialli e rossi,
di nessuna vittoria attorno alle altalene.

Salta e sprinta, medaglia d’oro al salto
di specie. Tutte e vuote le strade portano a te.
Eccomi allora. Una mattina
di marzo duemilaventi sono
io che ti arpiono, io che sulla tua fama sopravvivo.

*

Via del Calvario

Il cielo è azzurro come nei disegni
dei bambini senza disturbi. Qualcuno
si lascia andare
a una confessione alle compere pasquali ma lui
lui all’asfalto. Il cielo è troppo, lo stordisce,
i piccioni si dispongono a vegliarlo
poi arretrano
perché l’uomo non risorge si rialza. Si trascina
verso il tronco che fa emergere
nell’intaglio un Gesù piegato.
Abbraccia il plinto, sbottona la blusa
e offre alla parte del cielo che stordisce
il petto gonfio, senza speranza.
Se lo batte. Lo sterno
nascosto, gravato dal grasso in eccesso,
risponde alle nocche possedute. Lì
si piegano raggi e giornata e sorge un boato
inudibile. Intralciati e bilanciati dalle borse
ci disponiamo a
scansarlo arretriamo
prima che l’urgenza che è nel suo gesto
ci annichilisca
o forse
o peggio, diventi anche nostra.

*

Davide Castiglione (Alessandria, 1985) è docente di materie letterarie e linguistiche all’Università di Vilnius in Lituania. Si è laureato a Pavia con una tesi su Vittorio Sereni traduttore da William Carlos Williams, e dottorato a Nottingham (Inghilterra) con una tesi sulla difficoltà nella poesia angloamericana, poi divenuta libro (Difficulty in Poetry: a Stylistic Model, Palgrave 2019). Come poeta, è autore di tre libri: Per ogni frazione (Campanotto, 2010), Non di fortuna (Italic Pequod, 2017) e Doveri di una costruzione ( Industria & Lettratura, 2022).





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