"Fresco di stampa": Eleonora Rimolo, "Prossimo e remoto”, Italic Pequod, 2022


31 gennaio 1983

Non so parlare altre lingue, neanche
seduta in via modesta valenti 21
dove una babele di terrazze abitate
dall’inverno indica la direzione,
il centro abbandonato del guarire.
Non rispondo e non mi muovo sono
fedele alle regole, innamorata delle pulci
che mi bucano la testa, incerta sulla porta
se a metà di una scala il marmo cede
e le caviglie si aprono, sopra un delirio
di ferite e non si cammina, non si arriva
più all’ombra sognata ma si diventa
gomitoli di ossa, sfere di silenzio.

*

Come dire che questo libro è scritto
per te, per il lutto indossato ogni giorno,
per quel popolo disperso nella storia,
spodestato dalla terra, spinto nel cuore
dell’oceano. Come dire che sono la stessa
persona il ragazzo arreso alle porte scorrevoli
mentre chiede monete ai passanti e il bambino
accostato alla parete in attesa del padre
di un altro colore con la maglia azzurra
distratto e curioso, geloso della sua buona stella.
E tu hai mangiato? Hai bevuto? Vuoi fumare?
Com’è andato il viaggio. Quando torni a casa.
Dove abiti adesso. Dove eravamo tutti, prima
di questo pomeriggio spento, dell’apertura
dei bar, prima di rimetterci in viaggio
e dimenticare la verità, ogni bene, la colpa.

*

Nella fase dispersa l’aria risale bollente,
assottiglia i muri, buca le tubature,
sgrana le visioni un tempo così nitide,
tremende, senza sudore: nel miscuglio
di liquidi vivi non c’è spazio per i tuoi,
oggi siamo soli con questa sostanza pura
che lega vento e pressione, così lontani
dal freddo immobile della mattina
in cui mi tenesti in braccio, padre
mancato, per non colpirmi dentro
l’enorme abisso limaccioso col sorriso
che da sempre ti lava la faccia. Se potessi
vedermi ora dentro lo specchio passare
veloce saresti deluso, pentito: sono
un solvente mediocre e ti lascio intatto
nei pensieri disciolti. Pago il mio debito
e ti annego nel sale.

*

Dopo la ferita arriva l’azzeramento
del dolore, la pelle viva viene alla luce
con la sua verità crudissima:
quei mirtilli sono soltanto pietre
e su Marte non c’è biologia ma c’è
sulla terra stasera una paura
che fa più umane le cose, un rigurgito
di tenerezze mai digerite, un consegnare
la copia sbagliata di proposito
per darti di me la parte peggiore,
il mio sacrificio maggiore.

*

Vorrei pensarla anch’io questa giornata amico mio
come freccia senza bersaglio lanciata nel pomeriggio
che non conclude mai la sua discesa ma vive alta
nel sogno della durata: è difficile dire quando
questa luce andrà via finché il riflesso negli occhi
inganna e sembra eterno un febbraio, più lungo
delle notti sciupate aspettando la disattenzione
che addormenta i pensieri in un gomitolo. Eppure
nessuna cosa è contro natura: i fari alti fugano l’ombra,
l’onda si allunga e inverte il corso, il vulcano avvinghia
alle spalle la collina ma è solo un gioco dello sguardo,
un pugno di chilometri che non avvicina la pianura
ma spacca campi e cuori con pozzi e fangaie
aprendo voragini e crateri di arida rena ventosa.

*

Eleonora Rimolo (Salerno, 1991) è Assegnista di Ricerca in Letteratura Italiana presso l’Università di Salerno. In poesia ha pubblicato: La resa dei giorni (Alter Ego, 2015 – Premio Giovani Europa in Versi), Temeraria gioia (Ladolfi, 2017 – Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio Civetta di Minerva) e La terra originale (Pordenonelegge-Lietocolle, 2018 – Premio Achille Marazza, Premio “I poeti di vent’anni. Premio Pordenonelegge Poesia”, Premio Minturnae). Con Giovanni Ibello ha curato Abitare la parola. Poeti nati negli anni ’90 (Ladolfi 2019). Dirige la sezione online della rivista «Atelier» e le Collane di poesia Letture Meridiane ed Aeclanum per la Delta3 edizioni.





Fotografia di Michele Cristallo