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"Fresco di stampa": Riccardo Delfino, "Versicidio", Terra d'ulivi edizioni, 2023

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Legate all’intestino le braccia le gambe le mani stanno attorte come pezzi di un feto abortito. Un orlo di luce squaglia la carne di un dito. Sangue, liquami, pezzi di cuore, e io solo a sapere che il bello è già dentro, che è qui, il nostro altrove; io solo a vedere la bellezza delle viscere; a rivendicare, con fatica, l’interno della vita a costo della vita. * Mi ero quasi lasciato cauterizzare dal prolungato digiuno invernale. Ero tornato incolpevole. Felice. Ma ecco tornare in ricorrenza - costole all’aria e fianchi azzimi - l’estate della magrezza istigatrice. * E chiedi cosa mi giace dietro: non io, tesoro; questo me che tu ami non risiede. Un marchio a vuoto. È questa tua fede, sola, a costruirmi; di me non c’è nulla in questo mondo che mi somigli. * Torno a casa e m’accoglie puntualissimo l’abbandono: quanto s’è fatto grande il crepaccio ch’è adesso una seconda porta; io e la mia casa siamo fatti di viscere corrugate, che quasi a gelosia sono inverate allo stesso tempo; e non s

Riccardo Delfino, "Il sorriso adolescente dei morti", RPlibri, 2021

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  Sarà Natale da due minuti. Divaricherai le labbra nel vetro siderale che ci separa. Di come la morte avrà saputo simularci, non farai parola. Fisserai la mia pena per sottrarti al tormento. E di me farai  fine, smaltimento. * Guarda tra le viole come si baciano quei due ragazzi: perdendosi, e quasi non lo sanno - di esistere, ti dico, di certo non lo sanno - . Già so di loro che giocati dalla vita si giocano alla perdita, che non sanno tra le bocche calde, quale rione porti dritto al felice vuoto del letto. * Sento il dramma della vita nell’entroterra di ogni vena. Non splende in me altro sentore, mi anima l’insonne resistenza di un inganno, non l’amore, solo il nulla che albergo e l’affanno; quanto basta per non farmi ammutinare. * Era ottobre che la luce si lasciava oltraggiare dalla triste stagione. E noi poco amati, cresciuti d’ignavia come cose di poco valore. E sotto l’anfiteatro della dea fortuna, l’inerzia del cielo; le sagome brevi del nostro vangelo, attecchirsi alla notte