Paolo Maccari, due poesie inedite e un poemetto inedito


Nascere

Aspetto.
I girini si agitano nella pozza.
Sgorbi neri sognanti
una coppia di zampe,
poi un’altra.

Aspetto fuori.
A qualcuno sbucano le zampe.
Gli altri lo festeggiano astiosi.
L’invidia favorisce il processo.
Si moltiplicano zampe nei corpi viscidi.

Aspetto fuori, obbediente.
La pozza si sommuove.
La vita in atto.
Si consuma qualche vitale delitto.
Chi ha due coppie di zampe lo approva.

Aspetto fuori, obbediente alla legge.
Dolore e desiderio sommuovono la pozza.
Do un ultimo sguardo. Mi concentro. Sbuffo. 
Il semaforo rosso attenua il suo ghigno.
Un altro ultimo sguardo. Ecco il verde.

Mi tuffo.

*

Sparire

Cilindri sfocati, al crepuscolo,
si librano sull’Elsa. 
Moscerini. Quanti milioni sono? I cilindri
che fanno stanno come lanterne
sopra la lenta corrente verde.

I cavedani nuotano a fior d’acqua
ma a saltare è sempre 
uno invisibile. Imprendibile.
Tra un minuto è buio. Tra pochi giorni
estate. Tra il fiume e la sera e il sambuco
si srotola un discorso riposato.

Il ragazzo stasera ha portato il cane
e lasciato a casa le canne.
Arriva un altro camminatore
e anche lui è accompagnato
da un cane. I due cani si annusano.
I padroni non si conoscono
e trovano conveniente sorridersi.

Un altro tonfo nell’acqua.

Con il guinzaglio aggrovigliato
tra i rami protesi sulla corrente,
il giorno dopo ritrovarono il cane
che vorticava dolcemente
vicino alla chiusa, 
con il collo aperto.

Il cane. Nessun altro.

*

Cerimonia nera

I.
 
Correva voce – niente di certo – di un grosso lascito.
Di soldi nascosti e imprevisti.
Filtravano numeri. Grossi numeri.
Lo zio d’America? Una zampata della sorte?
Macché! Era un parente prossimo, il benefattore, un convivente.
Gli dissero: al funerale verranno in tanti e tra i tanti
tanti saranno presenti
per curiosità.
Come? Al funerale, sperano di togliersi la curiosità?
Vogliono vedere le facce, in tanti. Quanto la cifra
interferirà con la tristezza, e come sarà occultata
nelle facce, la cifra. È umano no?

Ecco: umano, proprio no – rispose. E tacque.
Santa pazienza e maledetta estate!
Il parroco era andato a trovare i nipoti 
e a lui toccava sostituirlo.

Sarebbe stato il suo terzo funerale,
ma gli altri due erano di vecchiette
che conosceva, di cui conosceva
le piccole famiglie devote e mansuete.
Ora gli toccava un sessantenne
che anche il parroco non ravvisava in chiesa
da quindici anni, dalla comunione del figlio minore.
Un uomo in vista, inoltre, e chiacchierato,
un mezzo delinquente finanziario.
Avvisi di garanzia, arresti domiciliari.
Lasciava tre figli, un’ex-moglie, una compagna.


II.

La chiesa, alle tre del pomeriggio, era stracolma.
Fuori faceva un caldo orrendo ma dentro
si stava al fresco. Arrivato all’altare
il giovane prete guardò con timore
tutte quelle persone. Gli venne da pensare
che a molti sarà parso ironico che l’uomo ricco
fosse accompagnato all’altro mondo
da un immigrato veramente molto nero.
Avrà avuto, l’uomo ricco, persone di colore
al suo servizio? Si rinfrancò, nella coscienza,
al pensiero di suonare fuori tono.
Gli sembrò che fosse già un modo
per distanziarsi dalla vita di un uomo
così poco cristiano come quello
che stava comunque per affidare a Dio.
In seminario aveva imparato, in casi simili,
cosa dire. L’energia del gran lavoratore,
la fame di vita che gli aveva concesso il Cielo,
il lavoro che aveva prodotto per tanti suoi fratelli.

Provò a reprimerla, ma aveva fatto il nido
anche nella sua mente la curiosità. Un grosso lascito,
un eredità, tre figli, un’ex-moglie, una compagna.
Guardò, appena giunto all’altare, le prime panche.
Anche questo glielo avevano detto in seminario:
trovare gli occhi dei parenti prossimi,
rivolgersi a loro, benevolmente.
Il tailleur deve essere la compagna.
I figli erano facili, due maschi e una femmina, somiglianti tra loro.
Ma quel vecchio? Non gli era venuto in mente
che a sessant’anni in Italia si possono avere
ancora vivi i genitori. O un genitore.
Quello dev’essere il padre. È senz’altro il padre.
È l’unico che, molto compostamente, piange.
Si capisce. Perdere un figlio. Povero vecchietto,
ha tutto fuor che l’aria da ricco. Il morto
deve averci pensato da solo a accatastare il lascito,
la grossa cifra. Sarà piaciuto il modo, al vecchio?
Gliel’avrà insegnata lui quella che a un funerale
conviene chiamare intraprendenza? O invece
il morto ha dirazzato e vinto? Mah!
C’è una donna accanto al vecchio, di mezz’età
e ancora bella. Un’altra figlia o l’ex-moglie
dell’intraprendente nella bara?
Il giovane prete nervoso apre il taccuino
dove ha preso appunti. Gianni. Siamo
qui – deve dire – a dare l’estremo saluto
al nostro caro fratello Gianni. Nominare i figli e…
E poi? L’ex-moglie? La compagna?
Non gli hanno detto niente o non ricorda
in questi casi in seminario cosa
gli avevano insegnato a dire. E il padre?
Ma sarà davvero il padre? E chi sarebbe, sennò?
Niente: nominerà i cari, genericamente.
Ma tutta quella gente lo emoziona. Mai parlato
di fronte a un pubblico tanto folto e ben vestito.

Se erano cinque anni che non li vedeva
quel benedetto parroco non poteva stare
ancora un po’ di tempo senza il piacere di abbracciarli,
i suoi nipoti? Va bene, è l’ora di iniziare.  


III.

Mentre la bara veniva sistemata
in un carro funebre che era una jaguar riadattata
il prete nero si intrattenne timidamente
con gli occupanti delle prime panche.
I tre figli erano i figli, laconici e gentili,
affiatati con la compagna-matrigna elegante e abbronzata.
Dio lo perdoni, nei loro volti scorse
qualche barbaglio della grossa cifra,
un certo desiderio di notaio, altro che prete.
Invece il vecchietto gli prese le mani,
lo ringraziò dell’omelia, in verità convenzionale
e un po’ impacciata. Non era il padre.
Era lo zio. Il padre e la madre, disse,
non c’erano più da tanti anni. 
L’aveva cresciuto lui, il morto, proprio
come un figlio. L’aveva fatto studiare.
Gli aveva dato un gruzzolo per partire.
La bella donna di mezza età si avvicinò.
Era la moglie del vecchietto, che solo da dieci
anni aveva sposato la sua donna di servizio.
Lo disse lei: sono dieci anni, disse, che mi ha elevato.
Il prete sentì il sarcasmo. Il vecchio sorrideva triste.
Quanti drammi. I figli gli lasciarono trecento euro.
La liberta andò a prendere la macchina
per seguire la jaguar. La folla era già fuori
in capannelli quasi allegri.


IV.

Il vecchietto prima di congedarsi
aprì le braccia e ripeté che l’aveva cresciuto lui
il morto. Non pronunciò nessun complimento.
Perché bastava il suo dolore a dire l’amore
o perché non approvava la vita di chi l’aveva persa?
Prima di congedarsi il vecchio
mise cinquanta euro in mano al prete
e con uno sguardo inconsapevole e tremendo, 
gli sussurrò che quelle erano proprio per lui.
Nemmeno la tonaca, pensò il prete,
mi traveste come Dio comanda.

Ma davvero, - pensò ancora - davvero
maledetti il parroco e quei suoi nipoti 
che non vedeva da cinque anni!

*

Paolo Maccari (Colle Val d’Elsa, 1975) vive e lavora a Firenze. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: Ospiti (Manni, 2000), Fuoco amico (Passigli, 2009), Contromosse (Con-fine, 2013), Fermate (Elliot, 2017), I ferri corti (Lietocolle-Pordenonelegge, 2019), Vincoli (Origini edizioni, 2021) e Quaderno delle presenze (Le Lettere, 2022).



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