"Fresco di stampa": Lorenzo Pataro, "Amuleti", Ensemble, 2022


A chiedere sete hai imparato dai cani
con le code stremate nel giro ubriaco
senza fine né pace, la lingua ora cava
con la punta assottiglia e lecca
la mano a chiedere l’acre resto
del seme, il fossile vivo sotto la rena
davanti alla casa dei giorni d’estate,
l’ora di sonno che manca alla meta,
qualcosa che porti tutte le cose
finalmente a girare come un destino,
il segno estinto del fiume e il suo delta
da mettere sotto il cuscino e aspettare
che arrivi la piena, il rovescio dell’acqua
a smidollare le ossa, a seccare il magma
nascosto, la fame religiosa dei tarli.

*

Nell’attesa di un chiarore
ci passiamo il talismano come un fuoco
da bruciare lento sulle dita, l’amuleto

di carta velina da mordere coi denti –
tu accendi un’altra fiamma nel calice
verde sulla tavola, leggi i tuoi tarocchi

e sui fiori illustrati segni al contrario i vaticini
mentre fuori un altro anno
rovescia i nostri nomi e l’alfabeto.

*

Cerchia la parola, la parola disarmata
alla fine della strage sulla linea che segna
la frontiera. Autunno-dire, inverno-sentire.
La casa è nuda. Tu fai tana nella soglia.
Si sgola la distanza e si ammanta
la preghiera di fonemi involontari.
Ti mando a brillare sulla neve.
Azzurro bene non visto che perdura.

*

Ti ho dato un nome. Come fossi
un talismano da inventare. Mi fai
il bene del concime, del lievito
e del sale per il pane. Ti ho dato
un nome. Ora intreccio le vocali
e sono l’edera a nascondere il segreto
che ho lasciato come un seme.

*

In principio fu la condanna beata
del letto-grembo a tenerci lontani
dai cuori pulsanti senza corpi
sui marciapiedi, loro che attendevano
collegamenti terminali con le nostre vene.
Aveva l’odore buono del pane appena
sfornato il tepore amniotico delle coperte,
una goccia di saliva univa le ali disabituate
a gettarsi sui semi, il grano cresceva pari
passo ai tuoi capelli unti dall’asma.
In principio fu la condanna beata
dell’insonnia a tenerci vigili all’arrivo
della felicità, fu un ago nel cuscino
la scoperta che non eravamo noi
i dormienti scelti.

*

E se fossimo solo un’ipotesi di volo,
un’istruzione leggera all’apertura
delle ali, se fossimo solo
il capovolgimento, la conversione
di un altrove in cui vive
la nostra parte divisa,
e se un giorno ci ricongiungeremo
con la coincidenza esatta
della felicità, e se allora forse
sogno e realtà
arrivassero finalmente
a coincidere, e se questa fosse solo
una possibilità da spartire
con l’altro, da scambiare
come in un patto?
E se riuscissimo a non rifletterci
più, se riuscissimo a valicare
il limite dello specchio,
del cielo, della porta, riusciremmo
a ritrovarci ancora interi,
veri come una volta?

*

Il ramo-lucertola spezzato, l’incavo
del riccio di castagna ad accogliere
il respiro dei dispersi nella luce,
le mani-radici nella terra, i palmi-catini
colmi d’acqua, la fronte che è un viale
in attesa delle foglie. Quanti corpi
attraversiamo, in quante forme migriamo
braccati come lupi nella notte.

*

I morti accatastati come legna
nelle tombe, polvere di semina,
le ossa a brillare accese dai lumini,
i falchi-guardiani a sorvegliare
il loro sonno primordiale.
I morti sono i tarli della neve.

*

Lorenzo Patàro è nato a Castrovillari nel 1998 e vive a Laino Borgo (CS). È studente di Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Salerno. Ha pubblicato Bruciare la sete (Controluna, 2018).





La poesia contemporanea in lingua italiana