Omaggio a Biancamaria Frabotta (1946 - 2022)


Poesie tratte da "Tutte le poesie 1971-2017", Mondadori, 2018


L’ultimo verso

Dentro gli occhi chiusi
quando vi cadde il sole
si accese un puntolino nero.
E non per vizio voleva
tenerselo l’informe
e dentro trattenerlo
nel cieco addome
divenuto sua patria.
Per non lasciarlo morire davvero
e insepolto, quell’ultimo verso
lo adottò, quell’inutile eroe.
Aurea muffa dell’estinto mattino
aerea tigna, polverosa carcassa
nocciolina che sgusci tra le dita
e, se si è presi, fedele capsula.

*

La volontà dei luoghi

Prendersi per il giusto verso
con cautela afferrarne il lembo
già un po’ scostato dalla pelle
e tirare, attirati l’uno dall’altra
gli scorticati di belle speranze.
Dal regno della treccia, della frangetta
illuminata dall’assalto dei bacetti
ci difendeva la complicità domestica
ci insegnava a trarre vantaggio da
un amore condiviso, fertile di frutti.
Ma l’albero ferito ebbe l’aria di soffrirne
sotto il fusto liscio spuntò un lattante
dalla faccia secca. Andate via. Sparite
belle bambine arrampicate in cima
ai valori d’una scala su cui
gravano prematuri silenzi.
O voi, o loro, balbettava.
La coppia, il legno, la gobba.

*

Il fatto è che mi distraggo
arrivata a questo punto
senza fine, quasi
in tempi normali
una voce fuori campo
una giunta, un’appendice
ora un bel nulla ben custodito.
Era, alla luce del sole, la meta
una giostra girevole subito smentita.
I motivi che ci ronzavano in testa
fino all’alba, un concerto di suoni  innocenti
di meravigliati mutamenti, di brividi inattesi
di riconoscimenti reciproci, di riconoscenza
sdegnavano la permanente incertezza
relativa a quell’immutabile punto fisso.
Nelle ore dell’insonnia infantile
ci addormentava il cinguettìo
di creature alate invisibili, come noi
abitanti di un mondo non da noi creato
cui ci affidammo, tra il pianto e il riso
avendolo trovato pienamente rifinito.

*

I nuovi climi

Nell’estate del duemila e tre
tutto si prosciugò silenziosamente.
Un meraviglioso azzurro puntato
su di noi come un’arma radiosa
premeva i piedi sul suolo, spruzzava
di calce le pareti, entrava, senza
nemmeno una goccia di pioggia
anche di notte
dentro i nostri occhi spalancati.
Dal tronco del melo colava pece nera
e a febbraio bisognò abbatterlo intero.
Il fico si salvò scrollandosi di dosso
la veste lieve delle foglie assetate
e a luglio cogliemmo fichi secchi
da terra, come fosse Natale.
La siccità portò via anche due peschi
che si erano avviticchiati l’uno all’altro
all’insaputa di tutti, in un solo albero da fuoco.

*

Una volta ci fu il tempo futuro.
Invocato a durare latente nel seno
di attesi compimenti e di altri mortali
complimenti, più o meno incompleto
di verità relative, di errori stanziali.
Non importava che ogni cosa amata
fosse così arbitrariamente sperata.

*

Discosto dal ramo quel tanto che basta
l’ala raccolta a non dar mostra di te
mi insegni la rotta breve del Colombo
erbivoro che ama il paniere poco profondo
di vimini, la canna, il salice, il cardo.
Non il rostro delle navi che violano il porto
ma il lento sciabordio dei remi calmi come nevi.
Anche la lampada ardente dell’Inferno in cui credi
a causa tua si mitiga, il mostro si addomestica
rientra nell’uovo, rinasce pulcino
e si smorza perfino la cruda scorza
di chi a tutti i costi ti volle eterno e di te
più eguale a un altro non c’era e molteplice.
Ora di sé si scontenta e guaisce la pavida Nomade.
Piuttosto che signora vorrebbe esserti sorella.

*

Gemina iuvant

Soltanto a sfiorarla – dicono
i miei due rivali emisferi
digrada a più lievi some
la femmina del mio cervello diviso
la sinistra ancella della nostra passione
che cola viscosi umori di nera bile
impuri fluidi di non storia
ma sa la visione e lo spirito del tempo
e se muore è d’etilismo
e sempre fuori tempo.
La sua parte è fissa.
È la parte per il tutto.
A destra invece legge
scrive e fa di conto colui che
prende di punta ogni ideuzza e la rintuzza
nella brocca rotta che risuona a vuoto
per maniera che non ne torni l’eco
tranne i costi i ricavi e
l’insana ragione mancina
ridurre alle sue minute ragioni.
Ogni punto è la testa pensante di una linea.
Ogni linea termina in un punto.
Così fingendosi amanti
i miei due rivali emisferi
entrambi mi tormentano
e non c’è ricciolo, né maliziosa frangia
a tenerne unito il gruzzolo
a ricomporre l’antica noce
della loro inimicizia.

*

A Dario Bellezza

Arrogante garrivi alle stelle la tua dolce nenia
il fiore ancora in nuce nello scapo
e la felicità, l’ottusità d’una caccia svogliata
mai così rasente alle promesse dell’età sfacciata
ti annoiava e ti seguiva come una cagna fedele
nel subbuglio dei tuoi astratti furori.
E ti eludeva anche da quel suo astuto
gioco a tutti commestibile, ma non a te
che la morte segreta stornavi ad ogni giro
e t’era consorte l’incanto, l’incubo dei bari.
Tu non volevi altro se non l’impossibile
la tratta di favore, il pagamento del riscatto
minacciando altrimenti colpi di testa
colpi di teatro memorabili che l’indomani
bruciavi al nuovo giorno sotto dettatura.
Non tolleravi la dittatura del giorno.
E libertà t’erano gli scuri chiodati
il fresco osceno invito della notte.

*

Biancamaria Frabotta, scrittrice, poetessa e giornalista italiana. Docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università La Sapienza di Roma, intellettuale a tutto campo impegnata nelle cause civili e nella lotta politica, attivista negli anni Settanta nel movimento delle donne, è stata redattrice delle riviste Orsa minore (1981-83) e Poesia (1989-91) e collaboratrice de Il manifesto. È autrice di una densa produzione saggistica (tra gli altri lavori, oltre alla curatela dell’antologia Donne in poesia, 1976, vanno citati i volumi Letteratura al femminile, 1980; Giorgio Caproni il poeta del disincanto, 1993; L'estrema volontà, 2010) e poetica (Il rumore bianco, 1982; Appunti di volo e altre poesie, 1985; Controcanto al chiuso, 1991; La viandanza, 1995; Terra contigua, 1999; La pianta del pane, 2003; Gli eterni lavori, 2005; I nuovi climi, 2007; Da mani mortali, 2012). Nel 2018 è stata edita sotto il titolo Tutte le poesie 1971-2017 la raccolta integrale della sua produzione poetica.



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