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Matteo Galluzzo, "Parlare ai nomi", peQuod, 2023

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le parole sono ferite nel bianco alfabeto mutilato dell’Altro. Che non venga, non venga mai la cicatrice * ho lanciato la voce in un altrove che non so dire. Ora qui seduto ne aspetto il ritorno, mi preparo perché possa accadere. Che torni la parola, che non sia altro che sé stessa * tra la nebbia e le bordate del sonno, viene la tua voce come una cosa amata caduta fuori da un’immagine. Lì tu esisti. E dici parole necessarie, di terra, di mani, di sale. Vieni ora all’appuntamento invisibile di questa pagina bianca. Insegnami ancora a non morire * restano solo le tracce nella casa vuota. Le macchie scure lasciate dai quadri, i teli bianchi come sudari sui mobili. Ma dimmi adesso dove suona quella voce che un tempo mi chiamava dalle stanze * la casa del ricordo è tutta gialla, nella luce fiamminga dell’infanzia. Da lì tu impari una lingua vulnerabile, dove anche il tuo corpo è una cosa da parlare. Trema un filo di voce tra fischi di grilli impazziti, nel caldo dell’estate * Arsura voglio

"Anteprima Portosepolto": Gisella Genna, "Rarefazione", peQuod, 2023

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Anche questo sogno andato anche il volto, il tuo essere a lato; ora che è poco fiorire, vai nel raggio preciso di un mattino. Posati polsi e palmi, un’ultima volta insieme alla terra sbiadire. * Ciò che deve accadere accade Casa di ringhiera e cotto dei primi novecento, la corte accoglieva propositi di nebbia. Tu, eri sommerso, io potevo solo esserci. Ai piedi del letto, per sempre riverso il padre. Schianto del corpo in prodigio di luce con una fantasmatica parvenza di voce. * Attraverso il deserto delle vite coralline      – roseo limbo d’aria – vedi, noi togliamo le vesti fino a scomparire. * La scintilla del tuo nome risplende ancora e ancora: punta tra le pleiadi fuoco cornice di desiderio, la fiamma è un petalo d’oro. * Continuo a vedere le finestre in cortile riflesse nella mia, le tende scolorite dal sole e qualche pianta di aromi sui davanzali. In viaggio verso casa sfilavano le abitazioni dei paesi di provincia. Gli indumenti messi ad asciugare, svuotati della presenza. Mi so

"Anteprima Portosepolto": Anita Piscazzi, "L’erranza", peQuod, 2023

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Quell’incanto che presto muta nell’ora protetta. Camminiamo sull’ultima stagione. Se tutto è l’inganno del fare, dove vanno le voci dei morti che ogni notte si addormentano con me? * Così venne una voce, quasi a ricordare un canto che puro spalanca l’attesa, le albe presagi di durata, sfumano. Resto fedele con gesti minori. * E quando ti girerai saprai toccando il punto più alto. La stella a oriente del meridione non ha inizio né fine, ruota potente di segni e miracoli, dimora nel firmamento. Così pensando e andando in te, primo angelo spalanco il mio cuore buissimo, l’eterno sbatte nella tua ala. Infiamma il lume della tenebra, primamente altra luce non vidi e non volli che l’usignolo muto e il canto aperto del tuono solitario, il libano, il falco e il bianco del rosmarino. * Il mio smarrimento somiglia ad una luce mattutina, illumina ogni gesto, ogni parola. Le scorie di questa dimensione non sono state capaci di spegnermi. Illumino. Illumino qualsiasi viso sono tesa agli influssi de

"Anteprima Portosepolto": Emiliano Cribari, "Cronache dalle rovine", peQuod, 2023

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aria di sgelo fumo mesto dal fiume il sole sbreccia la montagna e fa suo tutto l’itinerario del cielo: è una promessa mantenuta fino a sera cammino inciampando tra ghiande reiette piccolo minuscolo quasi inesistente se anche mi ammalo cosa cambia di così rilevante? salirò ancora per ore rifuggito da ogni bestia selvatica perché nei boschi sfiorisco invece che fiorire? vastità sfiorata del lasciarsi andare * tutte le cose le ho sciupate sempre io io prima persona sola e singolare i rapporti i mestieri gli oggetti li ho perduti tutti io sempre io reo confesso di non essere mai vittima è mia la decisione di arretrare di disfare di partire di domare l’indomabile impulso a sgretolare tutte le cose le ho perdute sempre io * gli abeti non pensano a Dio asceti nativi vocati al silenzio al riparo dell’ombra all’accoglienza io li ho visti piangere e ho pianto ridere e ho sorriso io condannato alla rabbia al peccato a chiudere gli occhi a tenere il respiro fino all’attimo prima di morire a Vitare

"Anteprima Portosepolto": Mara Venuto, "Vora", peQuod, 2023

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Alla terra perpendicolare la caduta, la vergogna dei cani deposti a marcire. Vagare innocenti a due a due, sui talloni il peso del domani e il suo travaglio, la lucida sapienza delle viole. In eredità lasciarsi calici dove nessuno beve e restano come un danno nelle mani. * Un sacramento è rimasto in quel muro. Lungo stanze di pari colore, fra odori estranei la misura del tempo è ferma alla calza del padre piena di carta come un pallone. Andare a segno nella porta a vetri femmine contro maschi senza poter danneggiare, prima di compiacerci adolescenti in un angolo. Votarsi a un altare dentro il portone, crescere passando sul lato opposto della strada con gli occhi bassi davanti ai ricordi. Non cedere più alla giovinezza. * Nascere vecchia senza saperlo lasciare i ricordi in utero, restare informe creatura sazia, arresa. Nella notte adulta ascoltare l'acqua, i passi che scalciano senza peso la resistenza ai moti un corpo in cerca del suo spazio dove non c'è carico. * La fatica di

"Anteprima Portosepolto": Ezio Settembri, "D'altra luce", peQuod, 2023

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Dalla terraferma mi arriva sul cellulare lo spettacolo della morte, un povero cristo precipitato in un pozzo. Nessun avanzo di pietà ad ornamento del buio. Lo rimuovo con cura dalla memoria dell'apparecchio e riprendo con voi la navigazione. * Incubo Nella casa delle vacanze sorgerà una base militare. Le ombre che scorrono orizzontali sui campi sono dei camion, dromedari che attraverseranno un deserto di asfalto. Da troppo tempo la tua voce rotta, babbo, non ci raggiunge più, mentre guardiamo morire le tue rose sotto il filo spinato. * Gratitudine Per il dono del vuoto e la noia tribolata del lavoro, per tutti i piccoli fastidi che mi difendono dalle comodità. Per la memoria dei miei cari, ogni giorno più vicini e più lontani, per l'infinito sapere del respiro e delle viscere, per l'invidia e il castigo del limite. Per la luce alta sopra di me, così carica e innocente. * Gianluca Metti i suoi panni di campagna per somigliare a lui in tutto, quando sali sul trattore. Curvo s

"Anteprima Portosepolto": Biagio Accardo, "Luce del più vasto giorno", peQuod, 2022

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Ricchi di tante morti, continuiamo a vivere nell’indigenza: moriamo sempre così poco, e troppo tardi decidiamo di cadere come il grano nella mano che lo taglia. * E il comporre, la sintassi che chiedi, la logica intrinseca all’accadere, cercala nella stratificazione dell’humus che non tradisce l’ordine né l’origine, domandala alla carne quando esulta alla parola amore, all’istante che ti apre interamente alla verità. Puoi cambiare l’ordine dell’apparire ma nel solco, dentro l’alveo è il fiume che scrive, la sua corrente. * Dovrà pur bastare questa poca luce che lambisce i cocci di legno dietro al forno e asciuga come può e dove può un’acqua che pare cadere da un secolo. Dovrà pur bastare questo vento che scompiglia le palme, calcina i fossi e scolpisce le crete dei campi. Dovremo farcelo bastare questo poco così poco che ci resta, questo sole così lontano dalle ossa, ora. * Portare il mondo, portarlo dentro, ma non solo per il suo peso, il suo calibro di tempo, di tutti i tempi che rip

"Anteprima Portosepolto": Manuel Lantignotti, "Vista parco", peQuod, 2022

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È tornato l’odore di resine nelle mie primavere, ora che mi accorgo della grandezza, la complessità di questo mondo di chi vi abita; che gratitudine, poter percepire e non comprendere mai. * Il ricordo è un passo tra le foglie, le vie del centro a carnevale, il calore della neve che sfiora. Partoriti in decenni bui, nessuno conserverà memoria di noi; eppure è stata vita, l’attesa del domani per ricominciare. Privi d’identità accogliere le cose incompiute cullarsi nelle crepe. * Guardi lente le cascine sfiorire. L’infanzia in periferia ricorda la solitudine dei capolinea: dà le vertigini non vivere agli estremi sentire che convergi lontano dalle campane della tua chiesa i portici nei giorni di pioggia gli amici, i sogni indicibili. * Nei peggiori degli anni, ti servo il cuore su un piatto che d’argento, non ha niente. Folle, mettere in gioco l’ultimo resto umano del mio cibernetico corpo, vedendo nell’amore speranza nonostante mia madre sia un letto singolo, mio padre una valigia. * Ho

"Fresco di stampa": Massimiliano Bardotti, “La disciplina della nebbia”, collana portosepolto, peQuod, 2022

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Oramai solamente attendo (ogni giorno vivendo intensamente) l'attimo eterno del ritorno, quando casa saranno le tue mani la cura di un lento preparare per la famiglia amata il pane, come non fosse il quotidiano lavorio ma l’opera di un Dio innamorato che nulla serba di sé, se non il dono. * Bisogna essere prossimi alla terra avere già nel corpo l’ambizione della fossa. Sentire nella carne l’appassire delle ore. E come si fa urgente fare il bene praticare la salvezza. Avere già negli occhi un po’ di quello che vedremo quando gli occhi chiuderemo a questa luce. Bisogna poi saperlo un po’ di cielo averlo imparato dall’allodola e dal gufo. Seguire come cambia la stagione intuirne nei colori le promesse. E poi bisogna andare quando è ora essere pronti. Allora sarà chiaro finalmente che avevamo fatto tante prove che in fondo vivere è coltivare il seme eterno dell’attesa. * Un giorno, molto presto rinverdiranno tutte le cime (degli alberi, delle montagne) le ali dei migratori, tese a inte