Nunzio Bellassai, "Due tempi", Edizioni Ensemble, 2021


Solo i passi sveleranno l’illusione,
affossati nel mistero che circonda
i viali larghi di questa città
che vive dei rumori passati.
Avvolgeranno i confini dell’attesa
senza profanare né capire, ma ora
dentro di me ogni piccola cosa
del mondo splende e riaffiora.
Nel cielo tempestato di anime
hai già smesso di parlare.

*

Sarà idolo del mio tempo
la testa mozzata ai piedi del palo
della luce. In alto le mani legate,
sconosciute a chi finge che ignorare
sia solo un privilegio. La folla
assiste, senza riuscire a distinguere
il tempo trascorso da quello mostrato,
la polvere da ciò che è stato.

*

Ti guardo spesso
tu lo sai ma non dici niente
Il fumo gioca sul tuo viso smunto
lo smorzi sullo schermo acceso
una sigaretta rauca
l’acqua sta bollendo
Mi lasci il tempo di una pasta insipida
che non avrai modo di correggere
La tua assenza pranza con me
il tuo corpo non mi conosce

*

La città vive fuori di me, in un sibilo
sordo si espande e omette.
Ai sopravvissuti non daremo tregua
fino a restringere le palpebre spalancate
come quelle dei morti sorpresi
nell’attesa di un sonno leggero.
Sembrerà naturale ritrovare fossili
familiari tra i calcinacci da smaltire.
Ai sopravvissuti chiederemo conto
delle loro colpe presenti e future,
intanto affonderanno in silenzio.
Si può mentire per assuefazione o
per errore, ma nessuno chiederà scusa.

*

Gli attimi si sgretolano sui rami rinsecchiti,
si piegano accartocciati, vibrano
nel mormorio incalzante della nuova
stagione, appesi sul filo dei venti
che spalancano le porte lasciate
socchiuse in attesa di giorni
migliori, di intermittenze febbrili
che non saranno mai nostre, di uno stelo
tumefatto che recida il contatto.
E immobile vada in esilio dal mondo.

*

È la siccità del mondo, questo vuoto
ammasso di nuvole che scivolano
rasoterra lungo la linea del tempo
sillabato sottovoce, da bruciare nel fuoco
screziato da germogli che scavano
le crepe già dissotterrate, non legna
ordinata in file uniformi, ma corpi vivi.
L’altalena respira un autunno non suo,
si compiace in silenzio del suo atto mancato.

*

Ancora la prima luce si interroga.
Ancora brucia i petali delle rose stabilizzate.
E scende affaticata sulle gote secche
di questa fossa da riempire.
Nuova terra bruciata, dietro l’apparenza
del badile. Il cerchio si chiude:
risalire lì dove tutto è cominciato, ancora terra,
lì dove tutto ha preso forma. Parlare di precipizio
equivale a cadere due volte. Rocce e chiodi
possono cedere, i corpi a largo si salveranno.

*

Nunzio Bellassai (Siracusa, 2000), laureato in lettere moderne, attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Filologia moderna. Nel 2019 ha vinto il Premio “Valerio Gentile” per i racconti brevi. Lo stesso anno un suo racconto è stato inserito nella raccolta Le rane (Schena). Suoi componimenti sono stati selezionati per la Bottega di poesia de «La Repubblica». Altre poesie sono state pubblicate nella rubrica «L’Angolo degli inediti» della casa editrice Stampa2009 e nell’Ucio Poesie Smarrite del «Corriere della Sera». Collabora con «L’indiependente» e «Grado zero», dove si occupa di letteratura, arte e cinema.





La poesia contemporanea in lingua italiana