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Isacco Turina, "Non come luce", Terra d'ulivi edizioni, 2021

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Dopo tutto Verdi catastrofi lontane, vi guardiamo da dietro l’orizzonte. Quando il dente è penetrato siamo passati su un ponte sottile. Barche infinite attendono per navigare la penombra. Con un colpo di remo gli equipaggi si staccano da riva. Nella cisterna ovale del tempo rimbombano le gocce, rare come parole berbere. E del tempo più nulla sappiamo. * Dimmi il fiore che porti nello stomaco che porti nella mente. Fiore scuro di paura fiore giallo dello sforzo fiore bianco dell’attesa. Dimmi l’insetto che ti ronza intorno la cicala che stride nell’orecchio la sapienza del ragno che ti abita. La forma che tu vedi è una follia: sotto la giusta ombra intimamente si muovono i giardini inconsapevoli. * Spossessione Dopo il segnale acustico registri il suo silenzio – mi muovo come un gregge di riflessi fra le pareti d’ansia e lo splendore – avvisiamo la gentile clientela di non sognare le grandi farfalle – qualcuno parla in fondo ai miei cassetti – esci in cortile e portami la salvia, ma fer

"Fresco di stampa": Antonio Francesco Perozzi, "Lo spettro visibile", Arcipelago itaca Edizioni, 2022

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Caduta Quindi è cieca – e questa cecità per ora la chiamiamo attesa. C’è una base; la certezza no: è un’altra cosa. Prima ancora di fare la corda serve sporcarsi le mani. Ora la prova si incentra sulla differenza tra ricordo e chilometro, che al buio sono uguali; sul senso della caduta. Sono tentativi. * Lo spettro visibile È apparso il giorno come una cosa frontale, e prima del previsto. Lecci da poco si scartano dalla collina che è l’occhio di noi, le case salite, la strada che. Mai si sarebbe pensata tutta l’aria – scarsissima – evaporata tra gli organi che guardano fuori e appunto il fuori ora così reattivo alla pelle, grosso, dentro cui. Difficilissimo spiegare come (droga degli angeli) si è fatta la pietra (reale), la valle (reale), la scommessa ormai presa per viaggio. Così chilometri nell’orizzonte uno scarabeo si verifica: è lui, primavera di carne che entra per sempre. È lui, è spostato qualche secondo in avanti rispetto al proprio spettro. * Larve Il destino dell’immaginazio

"Fresco di stampa": Stefano Vitale, "Si resta sempre altrove", puntoacapo Editrice, 2022

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Travasi di luce Soli, nella morte plurale si resta sempre soli tra alti muri d’ascisse e percentuali scompaiono le storie singolari. Soli, a riannodare un flebile respiro con le vite degli altri dove cresce il bianco del silenzio e si spezza la certezza del viaggio. Soli, nel gioco feroce dell’amore tra temporali di vita felice e gusci di noce abbandonati sulle spiagge di lacrime e sassi. Soli, semi di girasole, anima d’acero di parole disperse senza colore o forse soltanto talpe pazienti nel buio a scavare travasi di luce. * Muoiono i giorni d’estate sulla frontiera di nuvole e sole frammenti di roccia scheggiata nessuno ricorda chi ha chiuso il cancello ansia che cresce porta morgana: non è più tua quell’ombra ora fuggita dalla fodera chiara di un tempo mai nato. * Miracolo della vita è la percezione di sé di colpo riflesso nella vetrina d’un bar la mattina perché ti sei visto e sentito a te stesso sorpreso nell’istante presente ora svanito oltre il flusso arrogante del tempo anche s

Annachiara Atzei, "Inavvertita luce", Eretica Edizioni, 2021

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Il cardo è secco. Sulla strada un campo ingiallisce per farsi guardare: l’occhio trattiene il sole – lungo il corpo, braccia. Lo schiudersi delle parole ci tiene verticali nello spazio del passo - ognuna un seme. Distanti i nostri nomi. * Dopo aver tentato tutto simulare la neve - essere neve. L'unico tuo segreto è fare a pezzi, asportare fegato rene cuore: qualcuno verrà a riconoscerti. Riempire il vuoto di canne di fiume, di schiuma d'acqua, di strade - la finestra sempre aperta. Si rigira un corpo sveglio nel letto - la faccia luminosa del sasso. * Il mattino fa come su nulla fosse, parole-spore cominciano stagioni. Gli occhi sono bocche, i visi tramonti - inavvertita luce. Si alzano mani come fiamme, come argomenti. Ci curiamo di noi, ci teniamo stretti - appesi al rumore del fiato in salita. Ti porto in me dissolto - immaginato. * Annachiara Atzei , Oristano, 1979. Scrive su Antas, periodico di storie e personaggi della cultura sarda e ha collaborato con la rivista La Donn

"Fresco di stampa": Eleonora Rimolo, "Prossimo e remoto”, Italic Pequod, 2022

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31 gennaio 1983 Non so parlare altre lingue, neanche seduta in via modesta valenti 21 dove una babele di terrazze abitate dall’inverno indica la direzione, il centro abbandonato del guarire. Non rispondo e non mi muovo sono fedele alle regole, innamorata delle pulci che mi bucano la testa, incerta sulla porta se a metà di una scala il marmo cede e le caviglie si aprono, sopra un delirio di ferite e non si cammina, non si arriva più all’ombra sognata ma si diventa gomitoli di ossa, sfere di silenzio. * Come dire che questo libro è scritto per te, per il lutto indossato ogni giorno, per quel popolo disperso nella storia, spodestato dalla terra, spinto nel cuore dell’oceano. Come dire che sono la stessa persona il ragazzo arreso alle porte scorrevoli mentre chiede monete ai passanti e il bambino accostato alla parete in attesa del padre di un altro colore con la maglia azzurra distratto e curioso, geloso della sua buona stella. E tu hai mangiato? Hai bevuto? Vuoi fumare? Com’è andato il v

"Fresco di stampa": Francesca Del Moro, "Ex madre", Arcipelago itaca Edizioni, 2022

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Ho attaccato un fiore accanto a lui, sulla parete. Ho scelto, senza volere, proprio lo stesso colore del fiore del suo disegno che tengo ancora appeso al muro vicino al letto. Nel nostro sonno così diverso, così lontano ci avviciniamo: ciascuno dorme vegliato dal fiore donato dall’altro. * Non ci vorrà troppo – in questo la chimica aiuta – tutti penseranno ch’è passato e io avrò imparato a portare con disinvoltura il mio sguardo opaco e il terrore dentro. * La sua voce adulta e bambina chiama mamma, arretra nel buio, non ha corpo, è piena di paura. In grembo gesto la sua assenza, il cordone ombelicale, il tubo del gas. * Il sole che da luglio mi ferisce torna buono in questo giardino. Ecco le aiole, le rose, il tavolino tondo, le ombre del fogliame, il sorriso di Adriana. Nella stanza per me il letto fresco mi ridona l’emozione del viaggio, delle bozze sul comodino. Piangere è dolce la sera tra la meliga e l’orsa che seguiamo nel cielo pulito, è un pianto condiviso. * Oggi l’occhio di

Mattia Tarantino, "L'età dell'uva", Giulio Perrone Editore, 2021

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Dammi una parola onesta, che risolva la brevità del mondo e delle cose; che sia oppure indeclinabile, sospesa nella voce a stabilire cos’è che dura e cosa non ha tempo. * Vorrei conoscere il mondo dei morti, reclamarlo in una lingua senza storia che non abbia una grammatica, ma possa avverare tutto ciò che si pronuncia. Mi usano per parlare a chi è rimasto, vogliono che dica, rovesciandola, la parola che non hanno mai trovato. * Vedi, non restano che i nostri frutti sulla tavola: mia madre che li sbuccia; i loro nomi che pendono dall’orlo e cadono tra il pavimento e l’invisibile. Ora all’uva basta un soffio per marcire in fretta e diventare una preghiera. * Sottovoce insegnami il mistero che agita le cose e l’invisibile. * Ci sembrava rimanesse solamente una parola impronunciabile per dire il fremito, l’angoscia, oppure i giorni che giravano e tremando sostenevano questa stagione sconosciuta in ogni casa. * Mattia Tarantino (Napoli, 2001) codirige Inverso – Giornale di poesia e fa par

Omaggio a Cristina Annino (1941 - 2022)

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Casa d’Aquila Vado verso la casa in una miseria di caldo sopra di me, nella morta estate senza onori. Né telefono, fiori. Tento di capire che dica l’uscio premendosi la bocca con le mani. Che vuol dirmi senza onori la casa? Non entro ma guardo fuori l’oscillante lingua dei piani. Penso: non ci fossi più m’aprirebbero con cerimonia, su fondo turchino e le dita fari, leggendo quanto ci misi a scalare una casa vivendo. Sarebbe la Verità, perch’avevo ragione in tutto, e parlavo ai pesci del mare. Alzo le mani senza resa, senza voltarmi. Niente fiori, casa dolorosa; ti peso sui due reni della bilancia. A chi andrà tutta questa ricchezza, lo spreco delle forze, l’aquila dentro di me? * Lasciare un ospedale come un lento giro di umidità, poi le finestre chiare senza uccelli, in una mattina fredda, dicembre 21, desiderare te all’uscita che risolvi ogni frase maledetta, col cappotto e le giarrettiere indorate, feroce dolce scandalo, e il tuo corpo invade la cinta dei muri. Ma non ci sei; ti ric

"Fresco di stampa": Luca Pizzolitto, "Crocevia dei cammini", Italic Pequod, 2022

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Luce lasciata e tersa dei primi giorni di dicembre, misericordia del vento sul tuo viso gentile, tagliato dal freddo. È l'eco ostinata del vuoto, è un peso greve sul cuore; neve che accende e poi placa l'inciampo della sera. Andare in pezzi, fiorire un mattino. * Nell'avanzo di parole su cieli colmi di rabbia, qui dove piove piano e rinfresca la sera cedi al vuoto, al niente, il dono austero delle labbra. Nell'ostinato silenzio di Dio, nel tuo sguardo breve di madre trova riposo ogni mia lontananza. * Le distanze che cadono dalle ciglia, il cielo dei tuoi sguardi improvvisi, il vuoto e altre forme, questo amore così fragile immaturo, arreso, non voluto. Tutto splende e fiorisce nel farsi attesa della sera. * Cos’è questo rumore che riempie la notte e impedisce il sonno? Dalla bocca di pietra zampilla il tempo e ciò che resta delle mie rovine. * Luca Pizzolitto nasce a Torino il 12 febbraio 1980, città dove attualmente vive e lavora come educatore professionale. Da quas