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"Fresco di stampa": Nicola Vacca, "Libro delle bestemmie", Marco Saya Edizioni, 2023

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Rebus Impiccati la corda è sempre tesa. Sul patibolo c’è sempre posto per i nostri inganni: dio è un boia che non si sporca le mani. * Imprecazioni e lacrime Il giorno ci vuole allineati e coperti e noi gli lecchiamo il culo con il nostro castello di menzogne. Le lacrime insegnano a essere veri una bestemmia ci salverà da questo piccolo dio bastardo. * Diario del cecchino Il fucile è in posizione il colpo è in canna. Sono appostato come sempre dove gli umani non possono vedermi. Tutto è pronto per consumare il rito quotidiano dell’eliminazione: io non faccio altro che il mio dovere essere il cecchino di chi vive e ignora di essere già morto. * La parola ai poeti Un taglio inganna la parola la ferita è aperta. Ogni forma di vita è la fotografia orribile di un massacro. In questa enorme paralisi nessuno intervista la coscienza rasoiate di deliri sfigurano finestre aperte sul mondo. Ci sono schegge di niente il dolore diventa rabbia l’ultima porta si chiuderà se i poeti non ruberanno le p

Domenico Brancale, "Dovunque acqua sia voce", Edizioni degli animali, 2022. Segnalazione di Claudia Di Palma

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Numerose poesie bruciano in fondo all’acqua. * Chi scrive tende la mano. Chi legge raccoglie il corpo. Rianima il proprio morto. Il passato si coniuga al presente. L’ombra del sale riaffiora dappertutto. A volte sono numeri. La natura viene a chiudere i conti. Viene a bruciare il superfluo. A incenerire le grate. * Stiamo di fronte e alle spalle parliamo del più e del meno di ciò che non abbiamo parlato del possibile che proviene dall’impossibile parliamo mentre scriviamo in silenzio la parola che ci allontana dalla riva verso l’ora della stella l’ora in cui si accende dall’altra parte del tempo la lucina, dentro di noi qualche cosa che va dalla tua ferita alla mia mano parliamo mentre il gregge rientra nell’addiaccio l’erba respira il tramonto una pietra è presente parliamo come se ieri deve ancora parlare. * Ma non credere che io non sappia che è stato per la fame perché fame è speranza negli occhi di chi cerca la terra per mare. Quello sguardo è riemerso come fosse un atollo. Intorn

Leo Learchi, "Dodici mesi senza agosto", Fallone Editore, 2023

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Quando ottobre novembre dicembre annunciano un inverno di seta il tuo passo deciso fecondo traccia un sentiero imprevisto. La tua luce sorprende oggetti colori suoni le forme. È ancora il tuo passo sulla dura terra * Gemmano fiori e un vento leggero di pensieri attraversa il paesaggio sconosciuto eppure familiare un rossetto acceso una giostra di verbi al futuro, su soffici colline, petali su cui posare l’orecchio, una rossa coccinella sulla spallina del tuo reggiseno: primavera * Vagava tra le risalite la mente e le cadute un grembo la città. La forma del possibile era completa, di ogni ombra la leggerezza e la rinascita una nuova luce puro esserci, lenta dimenticanza * Nel giardino l’incendio di luce è bagliore nel tempo emendato, ne è il cuore illuminato il sentiero che si fa fiamma nuova forma attesa. È il momento di attraversare il verde fuoco nel cielo * Il cardine della porta, la casa è una tavola imbandita e vuota. E tu compagna, amica parola che non so fra tenera e inquieta ti

"Anteprima Portosepolto": Daìta Martinez, "nell’ora dell’aurora", peQuod, 2023

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il cantico arrossato della casa azzera nel pudore la più nuda espressione al principio d’ogni era e s’era amore uno stupore ché l’infinito bagliore nel viso del nome è un piccolo girasole l’orma d’incontrarsi con le labbra nell’aurora a lato la parola un abbraccio avvicina di noi tremando nel silenzio il verso e le ciglia delle mani l’odore negli occhi e sulla ferita la tenerezza del cuore la privatissima domanda e tutto il resto dai vicoli spiovuti al seno d’un andare * il silenzio dell’amore le scarpe sul tetto della casa pane nel pane da bere una piccola fetta di vino per tutta la tenerezza lascia un segno di vita sulla terra bagnata e di palermo la bocca l’ovale dell’aurora cade ancora una guerra i mercati scomposti fanno suono di campane tremando a noi lo sguardo la stessa stanza e la luce sempre uguale della lampada arancione la mia parte del discorso tu che mi dormi sul seno * dovrei avere un piccolo bucaneve nascosto dietro e indietro alla via dei ciabattai dove la porta il vuo

"Fresco di stampa": Clery Celeste, "Salvare il necessario", Pietre Vive Editore, 2023

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Era stato così libero l’inizio poi è arrivata la paura. Ha trovato un nido in questo cranio coperto da capelli e cuoio fresco. Ho dato la colpa a un giorno preciso come un incidente che ti sfianca invece era quello che sono sempre stata nelle catacombe delle viscere. Il rifiuto, la perdita, il giudizio. * Quando da piccola cadevo mi dicevano che senza aiuto non ce l’avrei fatta. Sta in quella negata volontà muscolare il mio esistere inclinato la crescita dei germogli in obliqua direzione la linea della luce quasi orizzontale sui sassi attorno ai vasi. * Hai ragione quando dici che passo il fuoco nelle mani, che rischio di bruciare quel che trovo ma cosa posso farci se io prendo fuoco intera se almeno nel dolore riesco a essere una qualche forma di luce. * Questo confine non chiede e sta come argini scavalcati dalla nebbia, fossi che sono tutti vuoti, neanche più le rane si trovano. E tu che fuori stagione mi pesti come si pesta il mosto io faccio il rumore dell’uva schiacciata che sord

Francesco Giovanni Bresciani, "Del tutto e di minuscole cose", Porto Seguro Editore, 2023

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I sogni I miei sogni non varcano la soglia del mattino, i tuoi li ritroviamo sempre sparsi nel letto quando ci svegliamo. Ogni giorno decidi ciò che è buono e ciò che è da buttare, salvi pezzettini spaventosi, ne fai collane da indossare per tutto il giorno, per tutti i giorni dall’infinito fino a ora. Tu vedi dove io non so guardare, c’è una parete nella volta di ogni notte e nel mezzo una porta che impedisce all’universo di riversarsi in noi, io spio attraverso la serratura quando tu sfili la chiave. * I laghi Torniamo all’acqua, è bastato sfiorarla una volta perché si ricordasse di noi. Ci immergiamo, ci riconosce, come embrioni nel liquido amniotico del mondo. Ne usciamo e ancora siamo lì, impressioni omeopatiche, cartine di tornasole, indici d’esistenza nel laboratorio di Dio. * Abbraccio Il mio abbraccio non combacia mai perfettamente al tuo corpo non so se sono io o lui a esser storto, per quanto ci proviamo a far sì che il dolore scivoli è sempre uno scontro, spigoli su spigoli

Grazia Procino, "Filottete ovvero i vuoti ancora da sfamare", peQuod, 2023

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Filottete contemporaneo Io sono stato molto solo. Sono molto solo: ho una casa assai spaziosa, mobili pochi, non mi servono, solo la credenza che contiene le mie medicine è assai ampia. I miei malanni mi costringono a prendere a ogni ora pillole su pillole. Potrei elencarvi in ordine alfabetico ciò di cui soffro, ma non voglio rattristarvi. Forse, è per via delle malattie che la gente mi evita, mi guarda con circospezione. Ogni essere umano sano dovrebbe vivere accanto a uno malato, fin da piccolo e non subirebbe alcun trauma, giunto all’età adulta. Invece, si decreta il distanziamento sociale e fisico per la malattia ed è la morte per l’anima. Io sono morto prima di me stesso. * I vicoli corti sono brulicanti di voci mendicanti di rumori nel via-vai frenetico di donne che si ingegnano a stare al mondo: tu ridi io pure al gioco beffardo della morte. Nel nome del dolore ti chiedo di non arrenderti prima che il vento gelido sconvolga le tue chiome e l’urna accolga le tue sfatte membra. *

"Fresco di stampa": Luca Pizzolitto, "Getsemani", peQuod, 2023

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Il parto avaro della notte mastica e sputa la displasia del giorno, separi il respiro in due acque. I cieli divisi della tua fame. Nell’abisso, nel vuoto non esiste parola. * La vita che attraversiamo a mezz’ora dall’autogrill. Fibra minuta, fragile. Il nostro umano non restare, cadere, farsi pioggia in aprile. Lasciare. * Agosto è fermo sopra i tuoi occhi approdi dal mondo uccisi, dimenticati il senso smarrito delle cose, indistinto pudore nella luce. Nell’annuncio sacro del vento una spoglia, disamata bellezza. * Le fermate vuote dei tram, le corse lungo il fiume – si svela agli occhi il lento morire – il fiore svestito dei giorni. Ricuci lo spazio di fede, la luce guasta del mattino. * Il giorno breve di luce consuma dicembre nel sonno trafitto, l’elleboro fiorito. La tavola pronta, la cena mai consumata. L’amore è un cancro che mangia la carne, smagrisce ogni attesa. * Miseria della sete vetri rotti carne di sale, chimera e rovina cinque corpi a riva, sputati dal mare. * Chi getta

"Fresco di stampa": Ivan Crico, "L'antro siel del mondo", collana Lietocolle, Ronzani Editore, 2023

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La glicìnia I xe bei i fiori de la glicìnia de la curta vita, te me di ʃée. F óghi viola de seda, scuri òri sensa memoria e sensa mai modo de catarse, desfadi como neve in ta'l sol cu'i sacreti del s ó color... Vàrdeli. Te xe como l óri. Anca ti te arde in ta'l v óido. Il glicine Sono belli i fiori del glicine dalla breve vita, mi dicevi. Fuochi viola di seta, oscuri ori senza memoria e senza mai modo di trovarsi, dissolti come neve al sole con i segreti del loro colore... Guardali. Sei come loro. Anche tu ardi nel vuoto. * Solità del ciaro Solità del ciaro che 'l se distira gualìu sui paredi de le cànbare de domènega e te par de b ót che 'l vìvar integro, cun dut quel che 'l xe sta e che l'à 'ncora de nassìr, drento de élo al sìe serà. Solitudine della luce Solitudine della luce che si distende uniforme sulle pareti delle camere la domenica e sembra quasi che il vivere intero, con tutto ciò che è stato e che ancora deve accadere, in essa sia racchiuso *